Il lavoro umano da salvaguardare

Argomento: Editoriali
Autore: Dori Agrosì
Pubblicazione: 7 agosto 2023


Quando si ritrovò di nuovo in carrozza e lasciò la zona industriale, ebbe l’impressione di aver ricevuto in quella fabbrica (…) un assaggio dell’inferno.

Chiunque abbia letto il romanzo di Kader Abdolah, Uno scià alla corte d’Europa (traduzione dal nederlandese di Elisabetta Svaluto Moreolo, Iperborea, 2018), ritrova il racconto di un divenire di invenzioni, il passaggio dal lavoro manuale alle macchine industriali, le fabbriche che a passo inarrestabile hanno preso il posto dell’artigianato; il progresso.

Oggi il digitale guida le aziende in un mercato rapace di profitto, click and pay, divorando moltissime imprese e moltissimi mestieri nati dalla forza dell’imprenditoria indipendente.

Non avremmo mai sospettato la stessa rapacità nel settore del lavoro intellettuale. All’inizio avevamo l’esempio di Google Traduttore che in un click realizzava testi molto molto incerti, di fronte a quelle traduzioni siamo stati scettici nell’immaginare che giammai quella nuova tecnologia avrebbe potuto gareggiare con l’uomo.

Adesso invece il pericolo c’è, per la resa e soprattutto per la velocità. In questi ultimi anni l’algoritmo e l’intellettuale hanno lavorato in parallelo per raggiungere degli obiettivi necessari, da una parte gli algoritmi sono stati nutriti e pasciuti di letteratura, dizionari, enciclopedie, fino a farli sembrare quasi intelligenti nel loro restituire in pochi click testi-quasi-credibili. La loro è un’autorialità ben riconoscibile, inconfondibile, semplicemente piatta, senz'anima, senza ritmo, senza ambiguità, senza le coloriture dell’originale. Dall’altra, i lavoratori intellettuali si sono impegnati per il riconoscimento di diritti autoriali, contrattuali, di stipendio, previdenziali, quello che serve per stare al mondo con dignità. In questa corsa a chi la dura la vince siamo al punto del sorpasso, tra i due, il lavoro umano è a rischio, di essere scartato o di doversi rifugiare in nicchie per soli intenditori. Ciò non vuol dire che l’algoritmo sia migliore o più affidabile, scopriamo che semplicemente costa poco, pochissimo, zero.

Ma che senso ha truffare il lettore con la letteratura artificiale? Che orrore!

L’algoritmo non può spiegare il motivo delle sue scelte e se potesse farlo probabilmente direbbe che «Per alcune parole ho frullato il sistema per due interminabili nanosecondi e alla fine il risultato è questo. Il discorso fila liscio, comprensibile a tutti.» «Ma così non va bene», gli direi. «Mia carissima, anche SuperBrain e Stellar sono d’accordo, lavorano di precisione, insieme abbiamo sfogliato tutto il web, abbiamo interrogato i tre cani, gli zingarelli con devoto e con oli, tutto è quadrato.»  «Sì, in effetti è quadrato e spigoloso.» «C’è l’autorialità delle fonti a cui abbiamo accesso, su altre fonti no, Captcha non deflette, non dà l’autenticazione ai robot.» L’algoritmo infatti ha bisogno dell’intervento umano per la revisione. Un lavoro mostruoso perché quando non sbaglia, rende il testo artificiale.

Non possiamo chiamarlo progresso. Non abbiamo bisogno di produrre correndo. A furia di schiacciare bottoni perderemo anche l’agilità di scrivere a mano. Cosa faremo del nostro bel sapere se l’algoritmo ci rifiuterà la proposta di un nostro testo, spartito, canzone, illustrazione, dipinto, eccetera?

«Che produzione incredibile!» esclamò indicandoli [i cannoni].
«È vero, sono una potenza gigantesca. Una forza di massa che travolgerà anche noi come una valanga», sospirò lo zar.
«In che senso?»
«È una forza su cui non abbiamo nessun controllo.»
«Perché no?» (…)
[ibid.]