Intervista a Dimitri Deliolanes sul suo saggio storico
Colonnelli (Fandango, 2019)
Se guardiamo oggi all’azione dei colonnelli in Grecia nonché all’atteggiamento intrinseco di tutte le dittature militari in genere, possiamo descrivere la repressione come una forma di timore verso il suo opposto, cioè la democrazia ovvero la libertà dei cittadini. È anche questa una maniera per traccare la personalità dei Colonnelli che dal 1967 al 1974 hanno spazzato via ogni forma di governo, e addirittura mandato in esilio la famiglia reale?
Di sindromi fobiche i colonnelli ne avevano a iosa.
Si trattava di militari ottusi, fanatici e di scarsissima cultura. Avevano ottenuto i gradi combattendo i comunisti, alcuni di loro collaborando con gli occupanti nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. La loro grande fortuna fu dopo la liberazione, nel 1944, quando i britannici recuperarono tutti i gruppi collaborazionisti e li usarono per combattere i partigiani comunisti, provocando alla fine una vera e propria guerra civile. I colonnelli vivevano in un perenne stato di guerra verso il comunismo. Erano letteralmente terrorizzati: qualsiasi situazione di normalità democratica e di libertà civili poteva condurre al loro smascheramento, a far loro perdere i gradi, il potere e i privilegi. Quindi vedevano comunisti daperttutto, in ogni angolo: “comunista” il premier Georgios Papandreou, che nel 1944 si era scontrato miliarmente con i comunisti; “comunista” il premier della destra parlamentare Panayotis Kanellopoulos da loro rovesciato il 21 aprile 1967; “comunista” l’arcivescovo Makarios, presidente di Cipro; e probabilmente ritenevano “comunista” anche il giovane e non proprio brillante re Costantino al quale hanno tolto il trono.
Nel film Z, del regista greco Costas-Gavas (1969), film di denuncia sui colonnelli, viene mostrata sullo schermo questa scritta: «Contemporaneamente i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trockij, scioperare, la libertà sindacale, Lurçat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, Socrate, l'ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l'enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostoevskij, Čechov, Gorkij e tutti i russi, il "chi è?", la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, e la lettera "Ζ" che vuol dire "è vivo" in greco antico.» Moltissimi erano quindi i divieti, anche piuttosto assurdi, questo poteva soltanto provocare odio e tentativi rocamboleschi contro la giunta per un ritorno alla democrazia. Anche il Premio Nobel Giorgos Seferis si schierò duramente contro, dichiarando “Questa anomalia deve finire”. Quali furono le altre reazioni da parte del mondo della cultura?
La presa di posizione di Seferis è stata molto importante. È stata trasmessa dalla BBC e dalla Deutsche Welle e si venne a sapere immediatamente. Seferis ha dato coraggio e speranza a parecchi uomini di cultura che erano ancora paralizzati di fronte a questa catastrofe politica ma anche culturale. So di amici dei miei genitori che erano stati arrestati perchè avevano in casa libri di Dostoevskij, russo quindi comunista. Con Seferis qualcosa si è messo in moto. Intanto la stessa dittatura ha dovuto abolire la censura preventiva, riservandosi di punire duramente chi pubblicava notizie sgradite. Poco dopo, un editore coraggioso ha pubblicato un libro intitolato “18 Testi” di altrettanti scrittori importanti, qualcuno in prigione o appena scarcerato. Erano racconti con una critica più o meno esplicita verso il regime. Ha avuto un succeso clamoroso e l’anno seguente, nel 1971, ne è uscito un secondo, intitolato “Nuovi Testi” che ha squarciato la cortina del terrore. Da allora sono nate nuove case editrici e c’è stata una fioritura culturale che i colonnelli non potevano arginare. Mi piace sempre ricordare che i Quaderni del Carcere di Gramsci sono usciti in greco tradotti nelle carceri della dittatura e pubblicati dal mio editore ateniese, Stochastis, nato proprio in quel periodo a Exarchia, il quartiere dei giovani ribelli.
Per arrivare a una dittatura militare, la Grecia partiva da una situazione politica particolare già dal secondo dopoguerra, poiché il governo della penisola sebbene sotto la monarchia di Costantino II, era in realtà conteso tra inglesi, americani e russi. Questa contingenza ha favorito la cospirazione dei colonnelli?
Questa contingenza ha dato nuova vita e una ragion d’essere ai colonnelli. Nel libro spiego che loro sono stati più astuti e più abili cospiratori nel fare il golpe il 21 aprile del 1967, sorprendendo così i generali del re Costantino che prepararono il loro colpo di stato a ridosso delle elezioni previste per il 28 maggio. Il re, la CIA, la destra parlamentare, i generali, i colonnelli, ognuno aveva un buon motivo per violare la Costituzione e imporre un regime autoritario. È vero che motivi geopolitici, la Guerra Fredda, hanno definito l’appartenenza del paese allo schieramento occidentale. Ma questa scelta è costata molto cara ai greci, che tuttora pagano la profonda ferita della guerra civile e il lungo predominio della destra autoritaria al potere. I vincitori della guerra civile non hanno saputo gestire la loro vittoria. Non si sono preoccupati di sanare la ferita ma hanno preferito coltivare una mentalità da “possessori legittimi” del potere, non vincolati da regole e istituzioni, ma traendo legittimità dai potenti alleati d’oltreoceano. Nel libro spiego che il regime dei colonnelli ha represso sia la sinistra che la destra democratica, quindi ha di fatto colmato il fossato della guerra civile. Questo è stato importante fino a qualche tempo fa. La destra che è attualmente al governo è di nuovo estremista e poco rispettosa delle istituzioni. Alcuni attuali ministri sono ex sostenitori dei colonnelli.
Come è cambiato il significato di “potere” in Grecia dopo il settennato militare?
Ci sono stati due politici illuminati e capaci che hanno dato un nuovo senso a questa parola. Il primo è stato Konstantinos Karamanlis, l’uomo che ha restaurato la democrazia in condizioni disastrose, con i turchi che invadevano Cipro e colonnelli impenitenti che continuavano a tramare dentro l’esercito. Karamanlis aveva lasciato la Grecia nel 1963 da leader di una destra autoritaria e violenta. Vi ritornò nell’estate del 1974 dall’esilio volontario a Parigi da politico democratico ed europeista e costruì un sistema politico tra i più democratici del dopoguerra. Nel 1981 vinse le elezioni il secondo politico importante: Andreas Papandreou, un uomo che aveva combattuto con coraggio i colonnelli, poi capo carismatico del partito socialista Pasok, che guidò il primo governo della sinistra moderata. Ecco, l’incontro tra questi due leader era un’altra occasione di riconciliazione e di consolidamento delle istituzioni democratiche. Ma la destra non l’ha voluta cogliere.
Dopo essere rientrata nella NATO nel 1980, la Grecia diventa Paese membro dell’Unione Europea nel 1981. Questa nuova situazione politica ha messo fine alle tensioni con i Paesi confinanti?
Rispondo con un secco no. In Grecia la NATO aveva sostanzialmente il compito di reprimere un’improbabile ribellione comunista, visto che la Bulgaria, l’unico paese del blocco avversario al nostro confine, non aveva mai mostrato intenzioni ostili. Già all’epoca il pericolo vero contro l’integrità del paese proveniva da un paese formalmente alleato che è la Turchia. Nel libro spiego in maniera patricolareggiata come la Turchia ha saputo sfruttare le fissazioni e la grossolana politica estera dei colonnelli per invadere Cipro praticamente indisturbata e occuparne la parte settentrionale. Un’invasione rimasta impunita che ha stuzzicato l’appetito di Ankara, che ora si vuole espandere in Siria, in Libia, nell’Egeo e in ogni dove. Con l’invasione a Cipro la Grecia ha realizzato che la NATO è un’alleanza inutile, perchè non può e non vuole mettere freno alle smanie espansioniste della Turchia. Per questo motivo ne uscì per alcuni anni dal braccio militare. L’Unione Europea, nelle intenzioni della Grecia e anche di Cipro, avrebbe dovuto rappresentare un nuovo spazio di sicurezza: questa è la base dell’europeismo ellenico, non l’economia, come credono alcuni. Ma l’Europa politicamente e militarmente non esiste. Ci sono paesi amici, ma nessuno disposto a combattere per proteggere i greci. Quindi la Grecia (e Cipro) rimangono esposte di fronte all’aggressività turca sostanzialmente sole. Questo è il dramma che molti in Europa non vedono.
Nel suo saggio lei descrive anche i rapporti tra Grecia e Italia e dell’espulsione della Grecia dei Colonnelli dal Consiglio d’Europa nel 1969. Nonostante i drammatici episodi, i Colonnelli erano destinati a perdere. Negli stessi anni in cui l’Europa formava un’unione di pace, la contromarcia greca rischiava quindi di non trovare sostenitori. Era già consapevole di essere destinata a fallire?
Macché. Loro sognavano di rimanere al potere in eterno. L’espulsione della Grecia è avvenuta il 12 dicembre 1969, il giorno della strage di Piazza Fontana. Era, tra le altre cose, la vendetta dei colonnelli contro Aldo Moro che presiedeva la riunione del Consiglio d’Europa. La reazione isterica e sanguinaria di una giunta militare che, con la strage, vagheggiava di instaurare anche in Italia un regime amico, di tipo mussoliniano, ed ergersi a centro europeo del neofascismo. Nel libro analizzo le ricorrenti lotte intestine del regime militare, tutte riguardanti il suo futuro. Una volta fallita l’ipotesi golpista in Italia, l’ala apertamente fascista del regime ha lasciato il posto alla “democratizzazione controllata” sul modello turco. Anche questa crollata di fronte alla rivolta studentesca del Politecnico. Ma ci è voluta la catastrofe dell’invasione di Cipro per convincere questi fanatici criminali a farsi da parte.
Nell’ultimo periodo di dittatura, la giunta militare greca fece un tentativo di golpe nella Repubblica di Cipro, senza riuscirci. Fu questa la sconfitta definitiva dei Colonnelli?
È stato l’ultimo tradimento. La Grecia (insieme alla Turchia e alla Gran Bretagna) è un paese garante dell’indipendenza della Repubblica di Cipro. Il regime militare ha tradito tale impegno di garante, ha tradito il governo di Cipro e ha tradito i greci di Cipro. Aggiungo però che il colpo di stato promosso dai colonnelli a Nicosia il 15 luglio 1974 non è fallito. Ha ragiunto la parte più importante del suo scopo, che era quello di regalare una grossa fetta di territorio ai turchi, in modo da spartire l’isola tra Grecia e Turchia e metterla sotto il totale controllo della NATO. Quello che è fallito è il regime militare, crollato miseramente quando tutta la Grecia ha visto con i suoi occhi i capi dell’esercito, durissimi “nazionalisti” a parole, alzare le mani di fronte agli invasori, nascondersi nell’armadio e piagnucolare per la catastrofe provocata, invocando il ritorno di Karamanlis da Parigi per salvare il salvabile.
Quali sono oggi i risultati politici raccolti da Tsipras?
Il risultato più importante è che ha fatto emergere l’esigenza di una sinistra in grado di governare e di dare soluzioni ai problemi. Quindi non quel Syriza come era quando ha vinto le elezioni del gennaio 2015, assolutamente privo di qualsiasi esperienza politica e con una visione del mondo del tutto ideologica, fatalmente destinato alla dura sconfitta. Un Syriza nuovo, moderno e capace, utile al paese. Ora Tsipras si è consolidato come il secondo polo del sistema (tradizionalmente bipartitico) della politica greca e cerca di raccogliere il meglio dell’area del centrosinistra, dopo lo sfaldamento del Pasok. Se devo giudicare il suo governo dico senza esitazione che, malgrado gli errori, i fallimenti, le manchevolezze e alcuni ministri del tutto inadeguati, è stato mille volte meglio dell’attuale governo della destra, che è il governo dell’oligarchia predona.
Intervista a cura di Dori Agrosì