Intervista a Erri De Luca, scrittore e traduttore

Argomento: L'intervista
Pubblicazione: 18 aprile 2005

Quando è cominciata la sua attività di traduttore?

Verso i trent'anni, da lettore di Antico Testamento in ebraico, per bisogno di riportare in italiano la forza della lingua originale. Le traduzioni bibliche si sono di molto allontanate da quella asprezza ruvida e commossa.

Quale autore contemporaneo le piacerebbe tradurre?

Vorrei tradurre bene Isaac Babel', I racconti di Odessa.

Che rapporto ha con i traduttori dei suoi romanzi?

Buoni rapporti quando riesco a conoscerli. Questo dipende da loro, dal loro scrupolo di cercarmi per qualche chiarimento. Da questa corrispondenza inizia un'amicizia. Ho traduzioni in una ventina di lingue, ma sono amico solo di cinque traduttori.

La traduzione è secondo lei un genere letterario?

La traduzione è un atto di ammirazione. Comporta un'emozione, un arrossamento. Chi lo compie deve rinunciare alla propria letteratura per condurre un mezzo di trasporto. Il traduttore è un autista. È il suo carico a essere letterario.

Come lettore, quali sono i suoi autori di riferimento?

Evito di fare nomi, di denunciare. C'è stata molta poesia nelle mie letture.

Qual è secondo lei la letteratura straniera attualmente più interessante?

Quella israeliana.

Il fatto di essere traduttore influenza la sua scrittura?

Traduco per passione, eseguendo un esercizio prossimo alla ricopiatura. Mentre scrivo le mie storie invece non sto dietro ad alcuna scia. Sono in mare aperto senza niente in vista. Scrivere una propria pagina e tradurne una altrui comporta attrezzature completamente differenti.

Qual è l'immagine del traduttore che emerge dai media?

Metà facchino, metà doganiere.

Può consigliarci una rivista letteraria che ama parlare di traduzione?

Collaboro a MicroMega. Ho pubblicato su qualche rivista mie traduzioni dalla lingua yiddish. Gli autori stranieri che vi compaiono godono di una eccellente traduzione. Ma non conosco riviste che si occupino del vostro argomento.