Che aspetto ha il vostro Diario di Anne Frank? Il mio ha una copertina cartonata azzurro chiaro e una sovraccoperta bianca con cinque righe orizzontali color rosso vivo: la veste classica della Nuova Universale Einaudi, anni Sessanta-Settanta. A quell’epoca l’abitudine di italianizzare i nomi degli autori stranieri (vedi alla voce «Guglielmo Shakespeare») è già tramontata da tempo, eppure in copertina e sul frontespizio si legge ancora Anna Frank. In alto, al centro della prima fascia bianca, c’è il ritratto in posa di una bambina con un sorriso appena accennato, i capelli scuri perfettamente in ordine e lo sguardo un po’ malinconico. È lo stesso ritratto che altrove si vede spesso accompagnato da una didascalia autografa di Anne con la data del 10 ottobre 1942, tre mesi dopo l’ingresso nell’alloggio segreto: «Questa è la foto di come vorrei essere sempre. Forse così potrei avere una chance di arrivare a Hollywood».
Il problema è che quell’edizione non la trovo più; perciò, quando mi è stato chiesto di tradurre Dov’è Anne Frank, la prima cosa che ho fatto è stata ricomprare il Diario. Nella nuova, più recente edizione, Anne si chiama finalmente Anne. Invece della vecchia immagine formato tessera, ora in copertina campeggia il ritratto di una tredicenne dalla faccia vispa, che ride dolcemente e si volta verso l’obiettivo come se rispondesse al richiamo di una voce amica. È una foto scattata nel maggio del 1942: gli ultimi scampoli di vita libera della famiglia Frank, due mesi prima di entrare in clandestinità. Un’immagine spontanea, dinamica, certamente più conforme al gusto attuale: ma chissà che cosa ne avrebbe pensato Anne? Sarebbe stata contenta di presentarsi ai suoi lettori con quella luce sbarazzina negli occhi, quei capelli leggermente spettinati?
Non lo sapremo mai; forse la verità è che non ci sembra importante saperlo, perché ormai Anne non appartiene più a sé stessa. L’adolescente che confidava i suoi segreti a un’amica immaginaria di nome Kitty ha lasciato ai posteri un’eredità che è molto più di un documento umano, e noi ce ne siamo appropriati per farne un fenomeno di massa, un’icona contemporanea. Tradotto in più di settanta lingue, il Diario ha ispirato film, testi teatrali, opere liriche, musical; l’alloggio segreto in Prinsengracht 263 è un museo visitato da milioni di persone. Ma al di là del «fenomeno Anne Frank», siamo davvero certi che la sua testimonianza sia stata ascoltata e compresa? Ari Folman e Lena Guberman partono proprio da qui: dalla triste constatazione che il messaggio del Diario è andato perduto. «Anne Frank è ovunque», dice un poliziotto olandese a Kitty dopo che quest’ultima, per uno strano prodigio, ha preso vita nel nostro mondo. Ci sono ponti, scuole, ospedali, teatri che portano il nome di Anne; eppure, a quasi ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz, esistono ancora minoranze perseguitate e bambini che, per salvarsi la vita, sono costretti a fuggire dal proprio paese. La Kitty di Folman e Guberman (metà fantasma, metà ragazza in carne e ossa) si avventura nella realtà di oggi alla ricerca della sua amica del cuore, di cui ignora la tragica fine. Come una sorta di completamento del Diario originale, Dov’è Anne Frank mette in scena gli ultimi mesi di vita della sua autrice, tra il 4 agosto del 1944 (data dell’irruzione delle SS nell’appartamento segreto) e il giorno imprecisato del marzo 1945 in cui, a poche ore di distanza da sua sorella Margot, Anne muore di tifo e di stenti nel campo di Bergen-Belsen. Per stemperare la tragicità della vicenda a beneficio di un pubblico in giovanissima età, il racconto è fatto alla maniera di Anne, con un tono accorato ma pur sempre sereno e frequenti richiami alla mitologia greca che, accanto al cinema hollywoodiano, era la sua grande passione. E così i treni diretti ai campi di sterminio sono assimilati alle imbarcazioni che trasportavano le anime dei morti nell’ultimo viaggio verso l’oltretomba; del resto anche la casa-nascondiglio di Prinsengracht è, come scriveva Natalia Ginzburg nella prefazione alla prima edizione del Diario (1964), una «nave immobile nel centro di Amsterdam, che naufraga lentamente senza saperlo».
Ma al di là della rievocazione storica, il valore più alto del progetto è nel suo forte legame con l’attualità, nella volontà di denunciare la banalizzazione della figura di Anne e ridare significato alla sua testimonianza. Il messaggio del Diario, ci fanno capire gli autori, viene tradito ogni volta che il mondo si rifiuta di tendere la mano a un bambino la cui vita è in pericolo per ragioni legate alla sua identità etnica, nazionale o religiosa.
L’opera realizzata dal regista Ari Folman (già autore del pluripremiato Valzer con Bashir e, insieme a David Polonsky, del graphic novel tratto dal Diario) e dalla disegnatrice Lena Guberman nasce nella duplice veste di romanzo a fumetti e film d’animazione: quest’ultimo, presentato fuori concorso al Festival di Cannes nel luglio del 2021, avrebbe dovuto uscire nelle sale cinematografiche italiane in concomitanza con la pubblicazione del libro, ma l’appuntamento è stato rimandato per ragioni che immagino legate alla pandemia. Da traduttrice ormai «di vecchia data» ancorché senza precedenti esperienze nella traduzione di graphic novel, ammetto di aver affrontato questo lavoro con una sorta di timore reverenziale legato più all’importanza del contesto di riferimento e alle intenzioni specifiche dell’opera (senza contare il patrocinio dell’Anne Frank Fonds di Basilea, che ha voluto controllare la traduzione) e molto meno agli aspetti puramente «tecnici». Per fortuna la mia incoscienza è stata premiata, giacché nella sua natura di prodotto destinato a un pubblico internazionale il testo non presentava le difficoltà tipiche di molti graphic novel né in termini di specificità dei riferimenti culturali, né sul piano dei registri linguistici, dei giochi di parole o delle onomatopee. A parte qualche marginalissimo intervento di semplificazione lessicale, l’impegno maggiore da parte mia è stato tenere dietro alla complessità di uno script con frequenti salti temporali e voci fuori campo, difficilmente comprensibile senza un controllo costante delle tavole in originale. Ma sappiamo che è proprio l’interazione tra strumenti verbali e visivi a dare al romanzo a fumetti la specificità espressiva molto apprezzata dalle nuove generazioni. Nel caso di Dov’è Anne Frank, rivolgersi a un pubblico giovane era quanto mai necessario per un’opera dal forte intento educativo, che dal tragico passato dell’Europa dominata dal nazismo punta diritto verso il presente, chiamando in causa la nostra beata indifferenza di cittadini del Primo mondo.