Riva

Argomento: Migrazioni
Autore: Kim Thúy / editore: Nottetempo, 2010
Pubblicazione: 17 dicembre 2010
Ho cominciato a leggere Riva di Kim Thúy d’inverno, in una città stranamente coperta di neve. Quel silenzio ovattato e un po’ surreale mi è sembrato capitasse a proposito: una breve sospensione della frenesia esterna per favorire l’incontro con questo romanzo che mi ha subito coinvolta per l’attenzione alle sfumature, ai suoni, per la sua scrittura intesa come salvezza dalla morte. La storia, raccontata con molta poesia, è semplice e tremenda insieme, e si dipana a poco a poco attraverso capitoli brevi e calibrati, simili a piccoli “tableaux impressionnistes”, come dice l’autrice in un’intervista. E a farli somigliare a dipinti, ci pensa il cromatismo diffuso: il rosso che nel capitolo iniziale accomuna i petardi, i petali di ciliegio e il sangue dei soldati; il blu intenso della notte durante la fuga dal Vietnam, quando cielo e mare si confondono; il bianco abbacinante della neve in Canada. Riva è una storia tremenda perché narra la fuga dal paese natale, il destino dei boat people, i campi profughi in Malesia, la fame, la perdita di tutto. Semplice, perché è narrata con levità e naturalezza, con il coraggio e la dignità di chi non si arrende. Questa fierezza impronta talmente il tono del romanzo che ho pensato dovesse guidare la mia traduzione. A questo si è accompagnato un abbandono vigile alla musicalità e al ritmo della lingua: poetica, evocativa e puntuale. Thúy sceglie minuziosamente i verbi, gli aggettivi, i singoli elementi della frase, e lo fa con un puntiglio che vale come una dichiarazione d’amore per la lingua dell’esilio, eletta a lingua della sua espressione letteraria. Ho immaginato il lavoro meticoloso per ottenere quella prosa cristallina e melodica, che seduce con le sue assonanze, i climax, le endiadi e gli echi interni. Come il passato e il presente si cedono il passo l’un l’altro nella narrazione, così i sostantivi, i verbi, i sintagmi ritornano creando una salda tessitura fonica e semantica che ritma la lettura e, impercettibilmente, rapisce cullando. Riflettendo su questo andamento, simile allo scorrere dell’acqua o all’armonia di una ninnananna, mi sono chiesta se l’essenza della scrittura di Thúy non fosse racchiusa nelle parole che, in apertura del romanzo, spiegano il titolo originale, Ru: “en français ru signifie «petit ruisseau» et au figuré, «écoulement (de larmes, de sang, d’argent)» (Le Robert historique). En vietnamien, ru signifie «berceuse», «bercer»”. Non è un caso che «berceuse», «bercer» punteggino il testo, caricandosi di significato, come «racines», «enraciner», «briques», «débris», «trace». La ricerca delle sfumature semantiche del resto va di pari passo con l’attenzione per le sonorità, un esempio: Je préfère me souvenir de mes chatouillements intérieurs, de mes étourdissements, de mes chavirements, de mes hésitations, de mes changements, de mes manquements (p. 108). Le esitazioni, le manchevolezze sono affidate alla lingua, al ripetersi di quelle “m” che riproducono quasi un balbettio. Altre volte il pensiero è reso da crescendo: «ce rêve américain qui m’avait épaissie, empâtée, alourdie» (p. 86); dall’iterazione di proposizioni: «j’oublie que je fais partie des Asiatiques [...], j’oublie que je suis née marquée d’une tache bleue sur les fesses, [...]. J’oublie cette tache mongoloïde qui révèle la mémoire génétique [...]» (p. 141); da allitterazioni o richiami fonici: «il a été entouré, encerclé d’un seul et uniforme horizon bleu» (p.15) e, nella stessa pagina, «l’engourdissement de nos muscles», «Nous étions engourdis», «la petite fille qui a été engloutie» (p. 15). Talvolta, senso proprio e figurato si fondono per rendere scene di plastica intensità, come le donne vietnamite piegate sia dal lavoro nelle risaie sia dal dolore della guerra: «Elles ne pouvaient plus redresser leur échine arquée, ployée sous le poids de leur tristesse». [...] e poco oltre: «les femmes ont continué à porter le poids de l’histoire inaudible du Vietnam sur leur dos». (p. 47). Su tutto, anche quando la Storia piega le schiene o fucila i bambini, domina quel tratto agile e delicato, e la lingua si fa depositaria di un universo emotivo e sensoriale sospeso e al tempo stesso saldamente ancorato alla vita, dove estetica ed etica si saldano nella poesia. Inseguendo queste linee guida indissolubili, ho cercato di tradurre.