Oneiron

Argomento: Nord
Autore: Laura Lindstedt / editore: Elliot, 2016
Pubblicazione: 7 dicembre 2016
«Se la letteratura fosse un fenomeno scientifico (cosa che forse è), staremmo giusto festeggiando la scoperta di un nuovo tipo di frase. Detto in termini più semplici, Laura Lindstedt scrive frasi e letteratura completamente nuove. Probabilmente su scala mondiale». Così si esprimeva Marko Kulmala, scrittore, produttore, personaggio pubblico eclettico, ideatore e presidente del Finlandia Sentence Prize, in merito alla frase: «Immagina: sei quasi cieca (Kuvittele, olet puoli sokea)». In Oneiron, Laura Lindstedt si serve di una frase inconsueta che insegue una visione precisa: il modo di esprimere un’idea, compone l’idea stessa. Ecco dunque comparire anacoluti, inversioni, soggetti non antropomorfi, incisi e parentesi in numero sovrabbondante; e ancora, avverbi di modo e quantità che precisano o rendono vago il senso della frase e ripetizioni di parole o di verbi, talvolta anche con l’aggiunta di un rafforzativo («oli kuin olikin edennyt») che rende incerto l’esito dell’azione («alla fin fine era avanzata»). Le pagine si riempiono di periodi lunghissimi con subordinate a incastro disseminate di participi (subordinate definibili a matrioska), e di frasi a spirale in cui il senso s’inabissa in un periodo tentacolare e apnoico che si palesa appieno solo dopo la sua conclusione. Il punto finale diventa così il permesso al lettore per fermarsi, provare a capire e tirare un sospiro, forse di sollievo, forse di sgomento. Dal punto di vista lessicale, Lindstedt crea parole nuove e la strategia traduttiva che si è adottata in questi casi è stata la creazione di catene di parole unite da trattini (grasso-e-gelatina; miss zuppa-di-miso; cuscino-di-piume). Esse intendono riportare in modo fedele sul piano del significato quanto detto dall’autrice e in più, per la loro struttura lessicale, hanno il pregio di ricordare la natura agglutinante del finlandese, per approssimare tra loro due realtà altrimenti estranee. Se in finlandese, infatti, formare parole accostando sintagmi nominali è la norma, in italiano invece le forme composte create in veste di corrispettivi omologhi (spaccatimpani, scacciatristezza, Polina Scarpasola, Nina Moltoincinta, Wlbgis Calvomuta, ecc.) sono dei neologismi, ma, al di là delle tante differenze morfologiche e grammaticali che intercorrono tra le due lingue, in ambedue i casi c’è manifestazione e testimonianza di un uso creativo della lingua. L’estro della lingua lindstedtiana si esprime inoltre anche nella sua carica sinestetica e nella sua musicalità, e se in finlandese le parole che indicano un suono hanno un significante che rievoca il suono indicato, in italiano spesso è l’onomatopea ad assolvere il compito. Quando poi le parole sembrano non essere più abbastanza, allora la pagina esplode e, in spirito dadaista, il testo rompe i margini canonici. Laura Lindstedt nel suo discorso alla premiazione per il Finlandia Prize 2015 ha dichiarato che Oneiron è anche una storia di solidarietà. L’identità delle sette protagoniste si forma perché loro sono parte di una comunità: è questa dimensione a originare le loro storie, a costringerle a pensare, a fidarsi e infine a permettere loro di andare oltre. Oneiron dunque è un romanzo profondamente corale e la sua polifonia è anche stilistica. Ci sono cambi di registro (si passa per esempio da parolacce a termini raffinati e aulici) e un tono narrativo che varia a seconda del personaggio di riferimento. In questo limbo laico fatto innanzitutto di parole ogni donna ha una sua voce e una propria nazionalità, pertanto nella stesura della traduzione si è cercato di rispettare il modus narrandi dell’autrice e di rifuggire con forza la produzione di un telaio univoco, diffondendo nel testo in italiano il bon-ton di Nina (con i suoi bebè), il linguaggio giovanilistico di Ulrike, lo stile asciutto di Shlomith, la ridondanza di Polina e la melodrammaticità di Rosa che, dovendo scegliere tra le due forme di cortesia italiane (in finlandese ne esiste solo una), in pieno carattere latino non può che dare del “voi” a Estêvão Santoro. Uno delle sfide più importanti incontrate nel corso della traduzione ha riguardato la concordanza verbale. Se con la Danse Macabre l’autrice incolla chi legge alla sedia, in un presente devoto all’istantaneità, nello spazio bianco la storia si catapulta nel passato nell’intento di amplificare il senso del racconto e la presenza di una voce narrante, ma a un certo punto, ecco spuntare di nuovo il presente, che prima si sostituisce per un po’ al passato, poi gli ruba la scena. Passato e presente si mescolano secondo una logica interna, peculiare al testo: in Oneiron tempo, durata e logica non rispondono a standard narrativi o a norme, ma si costruiscono a partire dalla storia stessa. Oneiron è un romanzo altamente intertestuale con rimandi talvolta espliciti, talvolta più sottili e in altri casi, invece, celati ad arte. Lasciando da parte quelli apertamente dichiarati, volendo nominare i più nascosti, ci sono, ad esempio, i Dieci piccoli indiani di Agata Christie, la Teogonia di Esiodo («In principio è caos soltanto»), la formula d’inizio di Cappuccetto Rosso dei fratelli Grimm («C’era una volta una dolce bimbetta alta cento cinquantanove centimetri di nome Ulrike la salisburghese»), e infine la “lunga riga” del Paradiso dantesco. Oltre ai rimandi letterari, Oneiron ha dei nodi, degli inciampi, che sono come link ipertestuali che possono rimanere muti, al livello di semplici dettagli, oppure aprirsi come varchi per una lettura che va oltre e che diventa atto di creazione. C’è l’anima a sfoglia di cipolla che rimanda alla psiche perché come la cipolla, la mente umana ha una miriade di strati, e tolto uno ce ne sarà sempre un altro; c’è la foto di Estêvão Santoro piegata in un angolo perché consumata dalle dita di un padre devastato dai rimorsi; c’è la voce divenuta rauca di Lula colpito, come Wlbgis, da un cancro laringeo che è un’imbeccata sottovoce a chi legge, che qui viene indotto a chiedersi se questa comunità di donne sia nata per caso o per destino. Il lettore perciò può scegliere di aggirare l’ostacolo o di inciamparvi dentro, è investito di una responsabilità che non spetta a chi traduce alleggerire.