Parigi divoratrice di apostoli

Argomento: Romanzo
Pubblicazione: 24 gennaio 2019

È indubbio che Paul Verlaine venga considerato, dal lettore di oggi come da quello a lui contemporaneo, solo e soltanto poeta. Eppure sia gli esordi della carriera letteraria che le sue ultime pubblicazioni testimoniano il profondo interesse che nutriva nei confronti della sperimentazione narrativa. Con esiti assolutamente individuali ha dato infatti vita alle diverse forme della scrittura: poesia ma anche conte en vers, teatro, saggi, scritti autobiografici, racconti di viaggio, poème en prose e novelle. E sono sette le novelle che fanno parte delle Histoires comme ça, raccolta che non è mai stata pubblicata in volume se non all'interno delle Œuvres posthumes del 1903. E anche se alcune novelle sono state diffuse da alcune riviste dell'epoca, scarso è stato l'interesse che la critica ha loro rivolto. Nonostante questo 'silenzio editoriale', la raccolta non nasce come pubblicazione improvvisata e casuale; nella corrispondenza con il suo editore, Verlaine ne disegna persino l'ordine, in modo preciso e puntuale, disatteso peraltro da tutte le edizioni critiche postume. Uno dei primi aspetti che si impone fin da subito è l'estrema e varia ricchezza intertestuale: autori come La Fontaine, Perrault, Racine, Nerval, Poe, Maupassant e Villiers, sono letti con attenzione da Verlaine, che non soltanto dimostra di avere grande familiarità con le loro opere, ma riesce perfettamente a cogliere il nucleo significativo della loro esperienza e a manipolarlo in modo personale e costruttivo. Le strategie di scrittura del discorso narrativo gli sono inoltre ben chiare e se attraverso la prosa si scrolla di dosso tutto il peso delle costrizioni poetiche, è anche vero che nelle vesti di narratore si dimostra un vero e proprio 'cesellatore' della materia narrativa: equilibrio nella struttura propria delle novelle, armoniosa e significativa alternanza di sommaires e scènes, giochi di ruolo fra più narratori che instancabilmente interagiscono ora ascoltando in silenzio ora intervenendo bruscamente a riconquistare il primato di voce narrante. Lo sforzo che Verlaine vuole compiere in questa produzione novellistica è tutto rivolto ad un estremo bisogno di evadere, di abbandonare quella morsa soggettiva in cui lo costringe la creazione poetica, che è invece, per natura, intima e personale. I personaggi che popolano questi testi sono testimoni nonché attori di questo conflitto divenuto principio creatore di una scrittura narrativa che ha bisogno di essere valorizzata: Marie, Ernest, Charles, Aline, Anne, Jacques, così come tutti gli altri protagonisti senza nome, sono personaggi ben delineati, fortemente connotati, ben lungi da quella inconsistenza lamentata da diversi critici. I loro drammi sono lì, iscritti nello spazio testuale, ed essi ora restano vicini al loro creatore, del quale ripetono errori e insufficienze, ora se ne allontanano per trovare quella forza di volontà, quel carattere che è necessario a perseguire con sicurezza la strada della propria realizzazione individuale, la strada dell'ideale. E proprio la volontà di distanziarsi dall'io divorante dell'autore fa sì che lo sforzo si tematizzi e il tema costante, rintracciabile senza difficoltà in tutte queste novelle, sia proprio quello della fuga. Esso si accosta alla celebrazione del corpo, dei piaceri della fisicità, ossessione verlainiana per eccellenza, che viene inesorabilmente castigata senza alcuna via di scampo. Il titolo si è posto fin da subito come un caso difficile poiché Storie così o Storie proprio così non avrebbe retto il confronto con la copertina, ponendosi in modo scialbo e insignificante. È indubbio che Verlaine prediligesse una scrittura del frammento, del flou, e un titolo che rimanesse nel 'vago' sarebbe stato assolutamente coerente con questa sua particolare visione della scrittura creativa. La scelta di un unico titolo seguito da "…e altri racconti" è stata scartata, altrimenti la raccolta sarebbe stata connotata in modo quasi irreversibile. Parigi divoratrice di apostoli è una frase che appartiene a L'abate Anne ma che trova delle profonde corrispondenze in tutte le altre novelle: la ville lumière è a volte nominata direttamente, altre si limita invece a svolgere funzioni di semplice décor, silenzioso e quasi impercettibile. È indubbio che per il nostro autore la ville non può che essere Parigi, una città in cui i percorsi di fuga si intrecciano con quelli di perversione. Riguardo lo stile, quel vague tanto decantato in poesia non trova però riscontro nello spazio testuale delle novelle. Tutte possiedono una struttura narrativa solida all'interno della quale il narratore si muove con disinvoltura. L'aspetto che ha presentato maggiori difficoltà nella traduzione è stata la presenza di periodi lunghi ed articolati, che in un certo senso contrastano con la concisione della scrittura poetica. Tuttavia, della formazione poetica, Verlaine riprende il gusto per la paronomasia, per il ritmo della frase, la cui armonia rinvia volentieri ad atmosfere liriche. La scrittura si carica quindi di una profonda valenza terapeutica, diventa spazio in cui all'autore non è più concesso indossare la maschera che gli avrebbe permesso di rintanarsi nel 'vague des Fables'; come il parco galante diventa un campo ghiacciato, e ci riferiamo al fallimento del tentativo di evasione all'interno della raccolta poetica delle Feste galanti, così l'ultima novella delle Histoires comme ça lo vede protagonista, suo malgrado, di una storia che ha poco del racconto fiabesco ma molto del dramma dell'uomo moderno, che, con i labirinti e i vicoli ciechi della sua esistenza ha già un piede nel Novecento.