Enrico l'egiziano

Articolo di Corrado Premuda

Dalla Svizzera all’Egitto, a ritroso nel tempo da un secolo all’altro, sulle tracce di un mitico trisnonno di cui in famiglia si è fantasticato tanto: l’avventura del narratore, deciso a scoprire di più sul conto del suo antenato Heinrich, inizia in maniera simbolicamente enigmatica all’interno della piramide di Cheope. Tra pagine di diario contraddittorie, ricordi sbiaditi, materiali d’archivio spesso confusi e incontri inaspettati e divertenti, il lettore risale insieme al protagonista l’albero genealogico dei Bluntschli per tentare di capire perché Heinrich abbia lasciato la Svizzera, la moglie e il figlioletto per trasferirsi in Nord Africa dove si sarebbe poi unito a un’altra donna che gli avrebbe dato altri figli. Le notizie con cui parte l’indagine del narratore sono poche e frammentarie ma tutte decisamente entusiastiche: il trisnonno Heinrich, trasferitosi a metà Ottocento in Egitto, avrebbe avuto un ruolo chiave nella costruzione del canale di Suez e avrebbe inventato la chiusura lampo. È stata la nonna (nipote del famoso trisnonno) a consegnare al narratore il suo prezioso quaderno azzurro con i ricordi di famiglia insieme al libro di cucina della prima moglie di Heinrich e al ritratto di quest’ultimo, opera attribuita al pittore Rudolf Koller ma purtroppo non firmata. In Egitto il protagonista visita i luoghi in cui si era svolta la vita del suo trisnonno e con magica naturalezza incontra l’antenato a cui asciuga una lacrima: «Chi sei? chiese. Il tuo pronipote, dissi uscendo dalla porta di servizio aperta nel giardino della canonica, dove mi accesi una sigaretta e, appoggiato al tronco di un pero morto, aspettai fumando che la famiglia comparisse». Da ragazzo Heinrich rifiuta di diventare pastore come il padre vorrebbe, lui vuole fare l’acchiappatopi del villaggio o tutt’al più il commerciante. Va a Parigi con l’amico pittore e conosce Gottfried Keller, autore del romanzo Enrico il Verde. Il narratore s’immerge a tal punto nella storia del trisnonno che a volte, abbandonando gli archivi per tornare alla normalità, si sente «un relitto dell’epoca in cui mi ero intrattenuto, e il mondo in cui tornavo non mi era familiare». Pensa che Heinrich, morto solo quarantatré anni prima che lui nascesse, non capirebbe niente del nostro mondo tecnologico e moderno: immagina di camminare per strada con lui stupito dalle macchine, dalla pubblicità volgare, dai costumi di oggi. Contrariamente alle aspettative, Suez si presenta al narratore come un posto orribile, infestato da spazzatura, ruspe e degrado. Le notizie sul trisnonno intanto si ridimensionano: pare che in Egitto si sia prima occupato della produzione di cotone, poi della sorveglianza del canale di Suez, del commercio del sale nazionale e infine, dopo il fallimento del viceré, di un piccolo ufficio postale. La Svizzera l’aveva lasciata dopo aver fatto bancarotta e aver deluso la moglie Elise. Ma è lui ad abbandonare lei e il figlio o è lei a non volerlo seguire in Egitto? La sola cosa certa è che al Cairo Heinrich sposerà una ragazza bellissima e di ventidue anni più giovane da cui avrà vari figli tra cui Charles, trasferitosi poi a Trieste, di cui il narratore segue alcune confuse indicazioni per cercare tracce dell’antenato, indicazioni che lo depistano. La surrealtà della storia, in cui il trisnonno e il protagonista s’incontrano spesso e nei posti più impensati, gioca anche sul contrasto tra un Ottocento grigio, piovoso e moralista della Svizzera e il presente assolato, pigro, cialtrone e misterioso dell’Egitto. Lo strano incontro finale e una rivelazione disarmante ma coerente con l’enigma che continua ad avvolgere l’antenato (un tipo inconcludente o un grand’uomo?) portano il narratore a considerare il caso che il fallimento possa essere una tara familiare, un male inevitabile, un tragicomico passaggio di testimone ad opera del trisnonno Heinrich.

Editore di Enrico l'egiziano