Il Senso del Tingo è un libro con due pregi fondamentali: accultura dilettando e costituisce una valida risposta alle domande che etnografi, linguisti, antropologi culturali e traduttori di professione si pongono sulla traduzione del senso da una lingua all'altra.
È possibile accedere al significato pieno di quegli enunciati 'stranieri' per i quali non abbiamo un corrispettivo nella nostra lingua? Da linguista e traduttrice mi associo a coloro che rispondono in modo affermativo ma riconoscono che la distanza tra le culture è direttamente proporzionale all'impenetrabilità e intraducibilità delle stesse. È indubbio pertanto il grande valore delle ricerche etnografiche e delle traduzioni da sempre impegnate in una lunga e faticosa dialettica di tentativi ed errori, di ipotesi e verifiche per mettere 'mondi' lontani in relazione tra loro. Tali attività hanno favorito nei secoli una graduale compenetrazione e contaminazione tra culture.
La divertente raccolta di parole, di espressioni idiomatiche e di proverbi realizzata da Adam Jacot De Boinod, pur non seguendo criteri scientifici, è un valido e gradevolissimo contributo alla multiculuralità. Il lettore curioso scoprirà che l'inuit (Groenlandia e Canada) possiede un vastissimo vocabolario (non meno di 60 termini) per indicare la neve e il ghiaccio, che i mandriani masai del Kenya e della Tanzania hanno 17 parole diverse per i bovini, che la tribù boniwa del Brasile ne ha 29 per le formiche (hanno nome anche quelle commestibili!) e che i somali hanno a disposizione non meno di 43 parole per ogni varietà possibile di cammello.
La nostra lingua non è la sola ad aver ragione delle cose e di sicuro non la dice tutta! Si apprezza dunque che Boinod voglia mostrare al lettore anglofono che "altre lingue cristallizzano nel lessico pensieri e concetti per cui l'inglese si scervella a trovar parola". Ma poiché ogni lingua si scervella a suo modo per rendere termini e nozioni straniere, ho deciso di non eseguire una traduzione della traduzione dell'autore. Ho scelto invece di svolgere un lavoro analogo al suo ritraducendo il lessico da lui raccolto direttamente in italiano. Come l'autore, mi sono avvalsa di dizionari bilingue, della competenza di studiosi e di madrelingua stranieri nonché del mio personale patrimonio linguistico-culturale.
Nella nuova edizione pubblicata da Rizzoli l'inglese non è scomparso del tutto ma è diventato lingua tra le lingue, soprattutto laddove l'autore offre esempi di "falsi amici" (parole di lingue diverse che coincidono nella forma, o solo nel suono, ma non nel significato). Così, della parola snags che in afrikaans significa "durante la notte" ho specificato anche il significato inglese ("protuberanze", "punte"; "ceppi", "denti sporgenti"; fig. "impedimenti", "intoppi"; slang U.S.A. "racchie"; "ciospe") perché il lettore italiano potesse riconoscere i falsi amici che per gli anglofoni erano ovvi.
Ho tradotto grazie a quell'insieme di procedimenti che rendono possibile ogni traduzione: la resa letterale, la parafrasi, l'equivalenza e l'adattamento (cioè la traduzione di un'espressione con un'altra analoga o simile, come per il giapponese hanage o nuku, lett. "tirare i peli del naso a qualcuno" quindi "prendere per i fondelli qualcuno"). In casi 'estremi' - in più di un senso! - non ho avuto altra scelta che fornire una spiegazione… Un esempio è il micronesiano Pi supuhui (lett. "cento pomiciate") che indica "un periodo dedicato all'accoppiamento libero in cui si va nei boschi per mangiare insieme e fare l'amore. In quei giorni si vieta alle coppie sposate di stare insieme; al contrario, viene incoraggiata la ricerca di un nuovo compagno o di una nuova compagna. Quando il numero di partecipanti è dispari, alcune coppie accolgono una terza persona".
In ogni pagina ho cercato di rispettare lo spirito goliardico e ironico dell'autore che, in modo del tutto informale, invita il lettore a guardare dentro lo straordinario caleidoscopio dei ghiribizzi delle lingue per constatare in modo giocoso quanto esse differiscano tra loro non per potenziale o qualità ma per ciò che di fatto esprimono e per il modo in cui orientano la visione del mondo dei parlanti. Una consapevolezza questa che accompagna da sempre l'arduo ma appassionante lavoro del traduttore.