Traduzione da: Saggistica americana
Homo Cyborg È stata un’immersione in un gergo semplice e complesso, in ogni caso non comune. E materico, corporeo: non a caso, il titolo originale era El cuerpo transformado, abbiamo cercato di ricreare un’immagine di condensazione fisica: un tipo di homo che vive insieme all’homo sapiens, e da molto tempo (forse da quando l’essere umano usa la tecnica...). Inoltre abbiamo lavorato in due, come traduttori: e la competenza di Raul Schenardi È stata senz’altro indispensabile per restituire la freschezza della lingua. Questo libro È una visione periferica a diversi livelli: Naief Yeyha È nato in Messico, di origine sirolibanese, vive a New York e parla di tecnologie nella sua lingua ispanica. Questo suo particolare “essere posizionato”, “essere‒tra‒varie‒identità” (anche professionalmente: giornalista, romanziere, saggista) gli permette voli pindarici ‒ dalla cibernetica alla religione, dal sistema della moda al cybersex, dall’intelligenza artificiale alla filosofia ‒ perchÈ i riferimenti, le citazioni, sono sempre pezze d’appoggio secondarie, e non grimaldelli essenziali per la narrazione. L’imponente corpus di letture anche specialistiche che stanno sotto il linguaggio di Yehya rimane sempre sullo sfondo, per fortuna: le sue visioni derivano molto più da idiosincrasie e passioni personali (la fantascienza, l’erotismo, la scrittura, le tecnologie) che da una formazione precisamente orientata. Nessuna scuola, molte influenze, molti autori preferiti. Se fosse stato scritto in inglese, questo testo mi avrebbe colpito molto meno: m’immagino solo parole come “artilectos”, ”cyborguizacion”, ma anche “capacitores”, “neobiologico”.
In inglese mi sarebbero risultate assolutamente comuni: “artilects”, “becoming cyborg”, “capacitors” (artiletti, divenire cyborg, capacitori)... Invece in messicano assumono una sfumatura in un certo senso inquietante, o almeno mantengono una parte del mistero della tecnologia, la tecne, questa arte o “cosa che funziona”. Nello stesso tempo, rimandano agli stereotipi anche linguistici del “castigliano tecnologico”, una sorta di lentezza e legame profondo con la materialità, con la corporeità, rispetto all’inglese: per quanto sia ovvio, non riesco a non pensare che “raton” significa “topo” prima che “mouse” nel senso di strumento tecnologico. Ovviamente poi i madrelingua inglese sosterranno che mouse significa animale roditore prima che appendice di una macchina. Eppure, “la ordenadora” mi suona piu’ autentica, più fisica e situata, rispetto al “computer”. Forse l’inglese È talmente vasto e in continuo movimento, nelle sue infinite declinazioni specialistiche, gergali, nazionali, continentali, che ogni parola, per quanto di conio recente, appare naturale, ovvia e quasi banale. È ovvio, “termoionic valve or vacuum tube”, ma non “valvula termoionica o tubo de vacio”: non siamo abituati a legare la tecnologia ad altra lingua che non sia l’inglese.
Dovremmo tradurre e avere molti più spaccati di questo tipo: molte più percezioni e visioni periferiche, non facilmente etichettabili, specialmente a proposito di nuove tecnologie. I rapidi cambiamenti, vorticosi, della tecnica, non trovano adeguate corripondenze nella lingua. C’è bisogno di parole nuove. Talmente nuove da suonare antiche come il “tubo de vacio” degli anni Cinquanta. Le comunità high‒tech generano in continuazione nuovi linguaggi, non solo per programmare le macchine, ma anche per comunicare al loro interno. Non si tratta solo di comunità hackers e smanettone (dove la pratica della condivisione e della comunicazione è fondamentale: sharing di competenze, di contenuti), ma anche e soprattutti di fanatici della tecnologia di varie tipologie (dagli estropiani, nei fatti tecnonazi ultrareligiosi, agli scienziati chiusi nei loro laboratori, ai ricercatori militari): difficilmente i loro linguaggi giungono al grande pubblico. Non sono oggetto di condivisione, dunque il pensiero critico È impossibile, qualsiasi pratica È interdetta, nell’attesa del “nuovo miracoloso ritrovato tecnologico”. Di certo questi linguaggi non giungono mai a noi, immersi nella tecnosfera, con una chiarezza pari a quella mostrata da questo piccolo gioiello di Yehya. La segretezza che circonda il “monstrum” tecnologico (mostro e meraviglia) È il primo passo per il dominio della tecnica e l’esercizio di un potere illimitato. Tradurre e rendere pubblico: divulgazione di alto livello. Nessuna semplificazione indebita di dinamiche complesse, ma nemmeno inutili tecnicismi e virtuosismi.
Curiosità e passione si mescolano in una lingua viva, su uno sfondo ben articolato di conoscenze: questo libro comunica, spiega, esalta, giudica, ammonisce, apre nuove possibilità di senso.