Traduzione da: Letteratura polacca - Traduzione di Lorenzo Pompeo
Dopo qualche anno di trattative, di paziente attesa e di insistenti pressioni da parte del sottoscritto, finalmente esce la traduzione italiana di un autore popolarissimo in patria e fino a ieri del tutto sconosciuto qui da noi. Se da una parte le traduzioni dal polacco non rappresentano più quella "esotica rarità" di qualche tempo fa, dall'altra non sempre gli editori italiani, nella scelta degli autori polacchi e delle loro opere, sono riusciti a cogliere nel segno. Per caso, per coincidenza o per intuito, nel caso di Jerzy Pilch, la Fazi ha colto il meglio di quanto potesse offrire il panorama letterario contemporaneo della Polonia.
Protagonista del romanzo è Jurus, scrittore affermato (le ispirazioni autobiografiche sono scoperte). Il libro è la confessione-diario dei suoi frequenti soggiorni presso il reparto degli alcolisti cronici. Jurus, nei suoi ripetuti soggiorni ospedalieri, ha l'abitudine di mettere la sua raffinata penna generosamente a servizio degli altri alcolizzati, costretti dal programma di recupero a tenere un "diario dei sentimenti". La biografia del protagonista, la sua vita, la sua scrittura e quella degli altri personaggi si incrociano e si contaminano in un'atmosfera sospesa tra la realtà, il delirio (alcolico e non) e la creazione letteraria, tra la vita e la morte, condita da frequenti digressioni nel campo della "filosofia etilica", materia che l'autore dimostra di conoscere a perfezione.
Il Dottor Granada, direttore del reparto degli alcolizzati cronici, è un intelligente conversatore col quale il protagonista si intratterrà spesso; complice il suo raffinato conversatore, Jurus esporrà, in queste conversazioni, i principi della sua "filosofia etilica". Nei capitoli successivi l'autore sviluppa i principi di questa dialettica, sostenuta da dotte citazioni e da un'abile costruzione delle argomentazioni nella quale l'abilità dell'autore raggiunge vette di virtuosismo.
Pagina dopo pagina facciamo la conoscenza con gli altri "ospiti" del reparto degli alcolisti cronici, interpreti "involontari" di quella "dialettica etilica" che il protagonista mostra di possedere a perfezione, nella quale il sogno e la realtà si confondono e il tempo perde ogni preciso contorno. Ma capitolo dopo capitolo diventa sempre più evidente che questa raffinata "dialettica etilica", questo virtuosistico balletto di tesi e antitesi, porta inevitabilmente alla morte e il carnevale, lentamente e inesorabilmente si sta trasformando in un funerale. Uno dei più pittoreschi ospiti del reparto, il parrucchiere e musico don Giovanni Ziobro muore nel delirio alcolico mentre Simone il Buono, che aveva tentato di fuggire, cade nella schizofrenia.
A questo punto anche il protagonista comprende: se vuole sopravvivere dovrà fare i conti col suo personale "demone" e alla fine solo uno dei due uscirà vincitore. Questa volta deve compiere una scelta tra la "dialettica etilica" e la vita. Giunto all'orlo del precipizio (a due litri e mezzo di vodka dalla fine) Jurus finalmente comprende che la posto in gioco è la sua vita e grazie al sostegno di una presenza femminile, vincerà la sua personale partita con "l'Angelo forte". Il romanzo si chiude con il protagonista che sorseggia una tazza di tè su una veranda con un'ampia vista insieme alla sua compagna.
La scelta dell'illustrazione e del frammento citato sul quarto della copertina della versione italiana indirizzano il lettore verso un'unica direzione: un romanzo sull'alcolismo. Ma Sotto l'ala dell'Angelo Forte non è un libro di un alcolista compiaciuto e Pilch, evidentemente, non è un Bukowski o un Evrofeev polacco, anche se la presenza di un elemento autobiografico, a cominciare dal nome del protagonista, Jurus (diminutivo di Jerzy) è evidente, Sotto l'ala dell'Angelo Forte è un romanzo di uno scrittore che non ha nessun bisogno di vestire i panni dello "scrittore maledetto". Non è l'alcool il tema centrale del romanzo, quanto, semmai, la potente soggezione esercitata dall'alcool (alias l'Angelo Forte, figura dell'Apocalisse) sul protagonista, dalla quale faticosamente e dolorosamente Jurus riesce a liberarsi.
Ma se la concezione del romanzo è semplice, elementare, nel suo scoperto gioco autobiografico, la sua esecuzione è, al contrario, estremamente complessa. Non è il soggetto il punto di forza del libro, ma semmai la lingua. Jerzy Pilch è uno scrittore dotato di un personalissimo stile, nel quale anche la traduzione italiana si è dovuta calare. La lingua dell'autore è aulica e forbita e proprio dal contrasto col soggetto del romanzo scaturisce quella vena di ironia leggermente surreale che lo caratterizza. Proprio quando il lettore si aspetta un incontrollato fiume di parole, un magmatico flusso di coscienza sotto l'effetto della sostanza alcoliche, si trova di fronte a un periodo ordinato da uno schema preciso sottoposto alle regole della retorica. Non è un caso che in Polonia molti critici hanno speso l'aggettivo "barocco" per definirlo. Le citazioni, a volte criptiche a volte scoperte, dalle Scritture, che rappresentano un lontano riflesso dell'educazione protestante dell'autore, non fanno che rafforzare l'ipotesi di questa lontana affiliazione col ricchissimo patrimonio letterario del '600 polacco.
Per questo motivo la traduzione del romanzo di Pilch è stata una sfida, che ha imposto al traduttore di mettere in campo tutte le sue capacità e la sua cultura, per rendere al meglio la raffinata e sottile ironia dell'autore (Pilch tra l'altro ha una solida formazione umanistica e anni di esperienza come giornalista); ma dall'altro lato è una sfida che un buon traduttore accetta volentieri (magari capitassero più spesso libri così!) perché lo humour raffinato e l'intelligenza dell'autore costituiscono uno stimolo e, nello stesso tempo, una grande soddisfazione. Per intenderci, è come quando un fantino si trova a cavalcare un purosangue di razza (e tra gli scrittori contemporanei i cavalli di razza non sono molti!) che necessita una sensibilità e una delicatezza da parte del fantino molto diversa rispetto a un qualsiasi brocco.
Sotto l'ala dell'Angelo Forte non rappresenta quindi un fortunato esordio, ma la prova migliore di uno scrittore maturo e possiamo nutrire la segreta speranze che, malgrado il nostro mercato editoriale assetato di novità e di giovani "scrittori usa e getta", ulteriori traduzioni possano completare il ritratto di uno scrittore importante, dotato di un personalissimo stile e di grande talento narrativo.
Lorenzo Pompeo