Quali scelte hai adottato per la traduzione del romanzo Budapest dello scrittore brasiliano Chico Buarque?
L'adesione all'originale è pressoché totale. In rari casi, sempre in accordo con l'autore, si sono privilegiate scelte che non confondessero ulteriormente la fruizione del romanzo, complicata da quello scarto continuo fra il portoghese nella variante brasiliana (lingua in cui è redatto il romanzo) e i frequenti incastri magiari (lingua in cui evolve la biografia del protagonista).
Budapest è un romanzo sulla scrittura, sull'annullamento e sulla ricostruzione dell'identità attraverso di essa. Ma anche sullo straniamento provocato dall'incomprensione linguistica. Il testo è seminato di equivoci, di sintassi rovesciate, di bizzarri disordini lessicali. Il traduttore ha tentato di restituire in una lingua "terza" (l'italiano) il corto circuito scaturito fra il portoghese dell'autore, a sua volta lingua madre del protagonista, e il magiaro appreso, conquistato e dominato dal suo alter ego…
L'autore non fa un resoconto di viaggio, non è mai stato a Budapest. Una trappola ingegnosa in cui è facile cadere?
L'autore in realtà "fa" un resoconto di viaggio, affidandolo al suo protagonista. La complessità del romanzo (e lì risiede a mio giudizio il suo pregio maggiore) incastra il lettore in una sorta di gioco di specchi. Buarque ha ammesso di non conoscere Budapest. Ma la città magiara in cui deambula lo sguardo di chi legge è quella raccontata per l'appunto dall'alter ego di un alter ego. E dunque è anch'essa un allontanamento, non un luogo empirico bensì la proiezione di una realtà geografica ricostruita in una dimensione che è soltanto letteraria. La sua topografia si colloca nell'immaginario. Lo stesso Chico Buarque si è detto curioso di verificare l'impatto del romanzo in Ungheria!
Nel romanzo il protagonista è uno scrittore fantasma, un ghost-writer, una professione totalmente all'ombra. A che livello si può pensare la stessa cosa del traduttore?
L'accostamento traduttore - ghost writer è di fatto meno azzardato di quanto sembri. Sappiamo bene quanto editoria, comunicazione, accademia e spesso purtroppo anche critica dimentichino la scrittura di chi traduce. Utilizzo il termine "scrittura" di proposito. I traduttori sono da sempre una misteriosa genia di quasi fantasmi nascosti fra le pieghe del testo. Certo, il loro ruolo è indispensabile perché la letteratura circoli libera e indisturbata, infischiandosene di una pericolosa frontiera, quella dell'incomprensione linguistica. Ma esiste un aspetto, per nulla secondario eppure quasi sempre emarginato, che è appunto quello della creazione, della scrittura. Chi traduce, in realtà, non si limita a "riscrivere" in un'altra lingua.
Che tipo di scrittura è quella di Chico Buarque artista e scrittore?
Budapest segna un nitido progresso rispetto alle pur convincenti prove precedenti (Benjamin e Estorvo). Chico Buarque è un lettore onnivoro la cui formazione non ha privilegiato nessun determinato contesto letterario. Per questo non è facile individuare nei suoi romanzi i contorni di un preciso canone, né stabilire esatte filiazioni. Certo, l'accostamento al romanzo postmoderno americano appare immediato. Per temi e strategie narrative viene in mente il Paul Auster del Leviatano o della Trilogia di New York. La scrittura di Buarque in Budapest è circolare, priva di snodi effettivi eppure fitta di soluzioni inaspettate.
Questo romanzo tocca diversi temi ma è anche un viaggio linguistico in quanto esperienza totale di vita e di scoperta. Di fronte al caos babelico ritieni che sia più interessante soggiornare in un paese di cui non si conosce la lingua o il contrario?
Basta ricorrere ai più noti significati contenuti nel viaggio inteso come metafora per capire quanto quella linguistica, ad esso intimamente legata, sia una delle esperienze maggiormente responsabili nella costruzione dell'identità. Il contatto ravvicinato con uno spazio culturale di cui si ignora completamente la lingua può precipitare il soggetto in un limbo comunicativo in cui non sono escluse inaspettate rivelazioni. Ripenso all'emblematico protagonista del film Lost in translation (di Sofia Coppola) interpretato da Bill Murray, film che con il romanzo di Chico Buarque ha non pochi punti in comune.
Il successo degli scrittori lusofoni varia da paese a paese. È una questione legata alla promozione o è anche una questione di differenza di gusti del lettore italiano?
Le ragioni che spiegano questo o quel successo editoriale sono svariate. Esistono le mode, le politiche degli editori, gli accadimenti esterni (attribuzione di premi letterari, vicende umane di grande richiamo) che attirano o allontanano su un autore il successo del pubblico. Ma esiste anche la tradizione, e la divulgazione spesso legata all'accademia. Lo stesso avviene per la lusofonia. Il Portogallo, ad esempio, ha conosciuto negli ultimi dieci anni un'importante inversione di tendenza, complici innanzitutto la scoperta della galassia Pessoa e l'esegesi operata da Tabucchi, nonché il Nobel a Saramago. Il Brasile, fatta eccezione per il caso Coelho, più vicino però a un ambiente new age profondamente svincolato dal contesto, è rimasto per certi versi ancorato all'immaginario baiano, profumato e tropicale, dei romanzi di Jorge Amado. Molti degli autori contemporanei (penso a Moacyr Scliar, Bernardo Carvalho, Raduan Nassar) pur egregiamente tradotti in italiano, forse proprio per il fatto di staccarsi dall'immaginario sopraccitato, non riscuotono il successo meritato.
Quali autori ti piacerebbe tradurre?
João Cabral de Melo Neto, un grande poeta brasiliano (del quale ho tradotto alcune liriche su riviste letterarie): mi interessa il suo lavoro di scarnificazione della lingua, ridotta all'ossatura, all'essenza di una pietra.
8. È importante per un traduttore consultare l'autore?
La mia esperienza di traduzione "appoggiata" puntualmente e con grande complicità dall'autore, Chico Buarque, è stata senz'altro positiva. Certamente importante per lo scavo in una lingua che il traduttore è sicuro di dominare e che invece continua a rivelare trappole e sgambetti. Ma importante soprattutto per penetrare ancor più nel carattere dei personaggi e nelle pieghe della trama. Il vantaggio di ricevere una risposta immediata e soprattutto priva di ulteriori dubbi alla domanda "cosa avrà voluto intendere l'autore?"
Oltre a essere traduttore, sei anche docente di letteratura portoghese presso l'Università di Siena. La lingua portoghese è molto studiata in Italia?
C'è un'enorme differenza fra il periodo in cui ero io a studiare le letterature portoghese e brasiliana (all'Università di Genova, nella seconda metà degli anni '80) e il presente, in cui mi ritrovo a insegnarle. Non solo per il numero (oggi evidentemente moltiplicato) di studenti che affrontano questa materia. Ma soprattutto per una sorta di "lontananza" culturale, oltre che fisica, che in qualche modo allora emarginava le culture lusofone, in particolare proprio quella portoghese. Questa distanza è andata estinguendosi nel tempo. Da una parte il Portogallo ha lentamente consolidato la sua collocazione in seno alla Comunità Europea. Dall'altra la sua immagine "culturale" ha affermato un modello svincolato da vecchi stereotipi, permettendo ad esempio a Lisbona di rappresentare una delle mete preferite dagli studenti con borsa di studio Erasmus.
Quali sono le lingue straniere che a tuo avviso andrebbero studiate di più in Italia?
Tutte le lingue. Senza gerarchie, senza primati. Nella loro bellezza.
In ambito universitario, fra gli effetti della recente riforma emerge un definitivo e incontrastato primato della lingua inglese. Ciononostante, forse anche come reazione alle circostanze storiche che stiamo purtroppo vivendo, si sta verificando un crescente interesse nei confronti di culture
linguistiche che si vorrebbero tradizionalmente antagoniche, prima fra tutte quella araba. Mi auguro che a questa tendenza faccia riscontro l'appoggio delle istituzioni, non solo accademiche.