Le mani sulla carta
Da piccolo mai avrei immaginato che sarei finito a fare l'editore. Che cosa sia un'editore non si sa, specie a quell'età, e anche adesso, dopo più di dieci anni che mi danno dell'editore lo sto imparando giorno per giorno. Che mi sarebbe piaciuto gestire una libreria, invece, lo capii presto. Tiravo fuori i libri e i fumetti dagli scaffali di casa, li mettevo per terra e li sistemavo in corridoio, il punto più trafficato di casa, ed estorcevo qualche moneta ai familiari di passaggio: fatturato risibile e insoddisfacente. Quindi mi trasferii fra il cortile e il giardino, e la cosa si fece più seria. Anche se la gran parte delle transazioni si limitavano al baratto con coetanei che trafugavano a casa pezzi da scambiare. Adesso mi sto per precipitare da un grossista per rifornire la neonata libreria minimum fax a piazza Santa Maria in Trastevere, e, nonostante la polvere del tempo e quella dei magazzini accumulata nelle porosità cartonate degli scatoloni, la sensazione di prendere in mano un libro è la stessa di allora. Tasto lo spessore, alliscio con i polpastrelli la copertina a ridurla mansueta nelle mie mani, vìolo la costa bianchissima delle pagine con il pollice per ascoltare il piacevole frrrrrràpp delle pagine che si richiudono nella naturale posizione originaria. Un libro di per sé è un libro chiuso, chiuso lo immaginiamo, chiuso lo penso quando lo racconto. Cosa sarebbe successo, e il senso di libertà che avrebbe generato l'aprirne uno e poi un'altro, lo imparai nel tempo, ma un libro aperto è cosa dell'anima, un libro chiuso è cosa misteriosamente preziosa e basta. Una unità psicoaffettiva, un oggetto che ti dà l'idea di avere fra le mani la vita, il pensiero, o l'esperienza intera di qualcun'altro. Un'appendice di vita per vivere in quantità enormi. Non si sa cosa ti regalerà neanche la seconda lettura di una cosa già letta, figuriamoci uno mai letto. La cosa bella del trambusto fisico (facchinaggio puro) e emotivo dell'apertura di una libreria è che la promessa di un mistero da rivelare si moltiplica, oltre ai libri che pubblichiamo, anche ai libri degli altri editori, degli altri cataloghi. Si naviga in mare aperto, ci si orienta con sempre più punti di riferimento, ogni volta che si scambiano due parole con un lettore che entra fra gli scaffali di via della Lungaretta 90E, diamo e cerchiamo conferme su questa navigazione a vista, come fra viaggiatori che si incontrano nel deserto. E' la prima volta che trovo maledettamente divertente fare a mente la lista delle lacune da colmare e dei libri che devo e voglio ancora leggere. Finalmente nessun senso di colpa, nessun peccato originale. E' come il regalo di un pezzo ulteriore e inaspettato di festa, di torta, di stracchino, di sonno, di televisione prima di andare a letto. Un pezzo ancora di qualcosa che desideravi e che non sai ancora bene cos'è. Il bello dell'incognita, come l'incognita della promessa. La promessa del progetto di minimum fax si estende quindi a un luogo fisico, uno spazio di quaranta metri di libri che si muovono, ruotano, spariscono, riappaiono, e se ne vanno in tasca a qualcuno che chiude la porta. Magari con l'idea che si è sentito a casa. Non sotto l'ansia del "compra e vattene" dei megastore da nastro industriale che mitragliano scontrini, neon e fretta.
La libreria dove sarei irresistibilmente entrato se fossi passato di lì. La libreria dove sto andando adesso a ripararmi dal freddo che fa.