Cento anni, tre generazioni, solitudini diverse e fughe nell’altrove: uscito nel 2016 All’ombra del fico – come il nespolo nel cortile dei Malavoglia, il fico si erge a simbolo di unità familiare, memoria e continuità –, è – secondo un critico militante – la più ambiziosa creatura dell’autore fino a quel momento; una saga familiare che attraverso i destini incrociati di tre famiglie e tre generazioni, sfiora il contemporaneo; un affresco del passato che da frammenti di memoria e consapevolezza si sforza di ricostruire e interpretare il presente.
Il nonno Alexander, il padre Safet e il figlio Jadran si sentono in trappola nella situazione in cui si trovano a vivere, ma solo Safet e Aleksandar realizzano il proposito di evasione, l’uno si ritira in Bosnia, l’altro parte per un anno in Egitto. Jadran invece rimane, ma è la moglie Anja che si allontana, rimproverandolo per il suo atteggiamento assente, malcelato tentativo di nascondere un altrettanto intenso desiderio di tagliare i ponti.
Fuga dal passato anche l’Alzheimer della nonna di Jadran, Jana, metafora dell’oblio che scende a coprire la disintegrazione di uno Stato, un oblio individuale e collettivo che traccia confini invalicabili anche ai pensieri e agli affetti.
Come già Jugoslavia, terra mia, infatti, anche questo romanzo ruota attorno al tema grandioso e inesauribile di una maledizione cui è arduo trovare un senso: in che modo il periodo storico in cui vivono si intrecci all’esistenza dei piccoli uomini e ne determini la sorte; in che modo eventi radicati in una concreta realtà storica abbiano potuto e possano influenzare le decisioni di tanti individui nell’arco di tre generazioni.
Il tempo intimo di ciascun personaggio, il concreto tempo storico e il tempo che detta il ritmo del dire, sotto angolazioni diverse e con diverse tecniche narrative movimentano una struttura complessa in cui si intrecciano narrazione eterodiegetica e flashback, numerosi dialoghi, racconti in prima persona e monologhi, flusso di coscienza, descrizioni oggettivanti di stati d’animo e pensieri dei personaggi. Il montaggio delle faglie spaziali e temporali molto deve all’esperienza di regista cinematografico dell’autore.
Lo spazio della narrazione e il suo tempo storico si inseriscono nel tempo e nello spazio della ex Jugoslavia, della sua disintegrazione e dell’attuale Repubblica di Slovenia.
La lingua in All’ombra del fico non può essere paragonata alla ricreazione del socioletto della borgata di Fužine, la colonna sonora letteraria che aveva costituito il tessuto connettivo linguistico sui generis di Cefuri raus!, il cui labirinto di idiomi e registri in continua reciproca contaminazione resta un caso unico e irripetibile.
Qui le deviazioni dallo sloveno standard non assurgono al ruolo centrale che nel romanzo Cefuri della lingua aveva fatto la vera protagonista. Sono molte le pagine in cui irrompe il parlato, in preziosi inserti – segnalati dal corsivo, dosati con moderazione e sempre molto godibili –, in bosniaco, serbo e slang lubianese.
Si è cercato di rendere lo slang lubianese avaro di vocali e la foga con cui si esprime la Anja quindicenne, con compensazioni varie tra cui il massimo di riduzione vocale applicabile senza risultati toscaneggianti e la modifica del gruppo qu in qv; si è attinto inoltre al lessico del linguaggio giovanile attestato sporadicamente nella letteratura italiana dagli anni Sessanta e diffuso soprattutto negli anni Ottanta e Novanta.
Esempio: La snazionalizzazione. Qvi un tempo ci viveva la nonna, poi i commi se lo so' preso loro. Ora ora lui lo risetta e poi lo vende. Ma nn tanto subito, ora risetta il flat della sorella. Perciò qvesto è vuoto. Io mi sono sparata le chiavi di riserva. E a volte ci vengo, qvi, e studio. E poi mi calo musica. Da sballo no? Ci si organizza facile un party, qvi. così, easy. Vero?
Cool, super, boreale davvero.
Sei il primo, nn l’ho detto a nessuno e tu nn loqvare con nessuno. Manco Eva. Okappa? Il vecchio nn lo sa. Qvesto è ’l segreto di noi due. Supercool avere un segreto, no?
Super.
Come accennato prima, i numerosi dialoghi – evidenziati in corsivo - si svolgono in sloveno, medio e slang lubianese, in bosniaco e in serbo a seconda dei fattori di variazione diafasica nelle determinate stringhe narrative: Safet parlerà sempre in bosniaco, sia in Bosnia che in Slovenia o in Croazia, Vesna parlerà in sloveno ma anche in bosniaco con Safet; Aleksandar e Jana parleranno tra loro in sloveno ma quando Aleksandar nella donna in preda all’oblio rinuncia a riconoscere la moglie Jana, le si rivolgerà in serbo; la folla di personaggi che popola il libro parla nelle lingue del luogo, in Slovenia sloveno (standard o slang a seconda di chi parla), a Bosanska otoka bosniaco. Lo sloveno, il serbo e il bosniaco medio sono resi in italiano medio.