"I bambini non usano molte parole (e le loro parole non sono ancora consumate). A quel tempo ero molto lontano da aggettivi e sostantivi. Non riuscivo a dire e nemmeno a pensare "meraviglioso", "immensità", "potenza"; però ero in grado di sentire.
"Questo racconto autobiografico, in cui Le Clézio rievoca la propria infanzia africana, ripercorre il difficile passaggio dal "sentire" al "nominare". Nominare ricordi, emozioni; scoprire quegli "aggettivi e sostantivi" capaci di esprimere un tempo remoto - quello dell'infanzia - e uno spazio lontano come l'Africa.
La scrittura con cui ci siamo confrontate è una scrittura che conserva l'immediatezza delle emozioni e segue l'andamento della memoria: il racconto procede per frasi ellittiche ripiegate su se stesse, slittamenti logici e periodi privi di connettivi; pennellate spontanee, dense di colore, che vanno a comporre un quadro in cui persone e paesaggi sono fortemente interiorizzati.
Accostarci a quest'immediatezza, appropriarci di quest'intimità è stata forse per noi la difficoltà maggiore. Se da lettrici ci eravamo lasciate trasportare dal ritmo delle parole, dalle immagini evocate, dalla loro logica puramente emotiva, in fase di traduzione abbiamo dovuto dialogare con il processo creativo dell'autore per tentare di restituire quel "quadro". Un lavoro complesso e delicato, che nel nostro caso - eravamo quattordici! - ha comportato un'ulteriore e costante necessità di mediazione. Quattordici traduttori significa infatti quattordici lettori, quattordici modi di sentire, quattordici lingue diverse - con il rischio di approdare a un eccessivo appiattimento della lingua, oppure a un effetto di dissonanza che non solo avrebbe reso ostica la lettura, ma indebolito uno stile sorprendentemente coeso.
Nel corso delle varie stesure, il lavoro a più mani si è invece rivelato adeguato a risolvere le caratteristiche proprie di questo testo.
Come in un gioco di specchi, l'atteggiamento necessario a comprendere le diverse soluzioni proposte di volta in volta, a impossessarsi di altri occhi e di altre orecchie, ci ha predisposte ad intonarci alla voce dell'autore.
La versione definitiva conserva una traccia quasi impalpabile eppure potente di infiniti e infinitesimali momenti di consapevolezza, dapprima orchestrati in un insieme armonioso, quindi stemperatisi lungo il processo. E la traduzione densamente stratificata che ne risulta riesce a supplire, o meglio, a restituire il gesto così sublimemente ispirato e sensuale dell'autore.