L’incanto continua. Il prolifico Eric-Emmanuel Schmitt non perde smalto. Anzi, nel tempo acquista sempre più scioltezza di scrittura e potere di sintesi. Il corto gli si addice: ciò è particolarmente evidente in La rivale, racconto breve su Maria Callas dove l’io narrante è addirittura la sua rivale, Carmela Babaldi (è chiara l’assonanza con Renata Tebaldi, la vera rivale storica della Callas), come anche nella raccolta Odette Toulemonde e altri racconti (Edizioni E/O), otto storie di donne alle prese con il tema dell’amore nelle sue varie sfumature.
La rivale è un omaggio a Maria Callas nel trentennale della sua scomparsa avvenuta nel settembre del 1977.
Attraverso i ricordi dell’ormai ottantenne Carmela Babaldi, che incontriamo prima durante un pellegrinaggio alla Scala mischiata alla folla dei turisti e poi alle prese con un giovane melomane, esce un quadro del personaggio Callas in cui il senso dell’arte e la presenza scenica predominano rispetto alla pura tecnica canora: è quello che non va giù alla rivale Babaldi, superiore alla Callas nelle tecniche del bel canto ma, giustappunto, mancante di quel fuoco sacro che ha fatto della Callas un mito immortale.
L’accorgimento narrativo del racconto riflesso libera l’autore dal rischio del panegirico e gli permette di applicare la sua nota ironia in un ritratto distorto dal rancore che, a trent’anni dalla morte della cantante, continua a opprimere l’animo della rivale. Nella descrizione che ne fa la nemica, la divina Callas assume incredibilmente un aspetto umano: veniamo a conoscenza dei suoi vizi e dei suoi errori e capiamo che sono proprio i suoi cosiddetti errori ad averla resa così unica, immortale.
La catarsi finale, commovente e comica insieme, restituirà alla storica rivalità tra le due vedettes il posto che spetta a tutti i conflitti personali: l’oblio del mondo. Dopo aver letto questo racconto, chi ama la lirica ascolterà con orecchio diverso Maria Callas, e forse la sentirà più vicina.
Cosa si può dire della traduzione se non che tradurre Schmitt è la pura gioia del nostro lavoro? È divertente (e i colleghi sanno bene la differenza che c’è nell’applicarsi a un testo divertente piuttosto che a uno noioso), è facile (niente riferimenti astrusi, stilemi incomprensibili, periodi farraginosi), è conciso (le frasi lunghe di Schmitt sono di due, tre righe), è sofisticato (quindi gratificante), è spiritoso, è universale. Per giunta è un autore estremamente disponibile, si diverte a discutere con arguzia e dovizia di particolari i dubbi sollevati di volta in volta dai suoi traduttori.