L'altro giorno stavo chattando con un'amica brasiliana che non sentivo da tempo e, quando le ho raccontato che era appena uscita la mia traduzione del Memoriale di Maria Moura, mi sono sentita rispondere: "Allora sei diventata anche tu immortale!". Già, perché Rachel de Queiroz, l'autrice di questo romanzo, nel 1977 fu la prima donna ad ottenere un seggio nella prestigiosa accademia degli "immortali", l'Academia Brasileira de Letras, gotha della cultura brasiliana.
Rachel, scomparsa nel 2003 all'età di 93 anni, è sempre stata una pioniera. E pioniera è anche Maria Moura, la protagonista di questo straordinario romanzo ambientato nel nordest del Brasile alla prima metà dell'800, quando nell'arido sertão nordestino, troppo lontano dalla corte di Rio de Janeiro, erano i potenti a dettare legge.
Maria diventa presto potente. Sua madre muore in circostanze misteriose, lei viene sedotta dal patrigno e lo fa ammazzare, poi litiga con dei cugini per questioni d'eredità e infine parte, lasciandosi letteralmente terra bruciata alle spalle, alla ricerca delle lontane terre della Serra dos Padres di cui è l'unica erede legittima. Ma, prima di raggiungere la meta e fondare la sua fazenda e la sua casa fortificata, numerose vicissitudini la aspettano, prima fra tutte quella di diventare capo di una banda di briganti. Ed è proprio così che conquista il rispetto e il timore della gente.
Oltre a Maria Moura, altri personaggi ci raccontano la loro storia: il prete, anzi l'ex-prete, la cui vicenda sembra fin dal principio destinata inevitabilmente a intrecciarsi con quella di Maria; la cugina Marialva, vittima designata delle angherie dei fratelli e della perfida cognata Firma, che trova nel saltimbanco Valentim la speranza dell'amore; i cugini Tonho e Irineu, avidi e ignoranti ma, involontariamente, unici veri artefici della svolta più importante della vita di Maria. Tutta la vicenda è narrata in prima persona dai suoi protagonisti, in un continuo gioco di flash back che si rivela poco a poco, come quando si compone un puzzle e solo al momento di sistemare una tessera ci si accorge di quel particolare che prima ci era sfuggito, ma che dà un senso differente a tutto il panorama circostante. Così, in un crescendo vertiginoso il cui ritmo accelera visibilmente verso il finale, la storia di Maria si snoda fino all'epilogo, tutt'altro che scontato e per certi versi degno della tragedia classica.
Numerosi gli altri personaggi di contorno le cui caratteristiche sono tuttavia tratteggiate con cura, dal fedele João Rufo al piccolo Pagano, dal cugino Duarte (mezzo fratello di Marialva) a sua madre, la schiava affrancata Rubina.
Tutto ciò, sullo sfondo di un nordest rurale e povero, in un Brasile nel quale non è ancora stata abolita la schiavitù e dove la stratificazione sociale e i ruoli rigidamente codificati (donna, uomo, contadino, prete, padrone, schiavo, ricco, povero…) aprono imprevedibili squarci di libertà, rappresentati dall'opportunità di ribellarsi e sfuggire a quello che a prima vista poteva apparire un destino ineluttabile.
La lettura di questo romanzo, oltre ad essere divertente per la storia in sé (che, sia detto per inciso, non ha proprio nulla da invidiare ad altre grandi saghe della recente letteratura sudamericana), può forse aiutare a capire il Brasile, e in particolare il Nordest, più di un raffinato ma noioso saggio di sociologia. Persino le abitudini alimentari dell'epoca o la religiosità popolare sono tratteggiate con semplicità e sapienza, e chi ha vissuto in quei luoghi per tanti anni si rende conto che in un secolo e mezzo poche cose sono cambiate.
Sì, perché in prossimità del sertão nordestino io ci ho vissuto per parecchi anni, e proprio nella città di Recife, più volte citata nel romanzo quale metropoli dove si va a studiare o a curarsi. Tradurre questo romanzo, quindi, ha rappresentato per me un tuffo profondo nel periodo trascorso in Brasile, ritorno a un passato recente, immersione totale nel linguaggio popolare della periferia urbana e soprattutto della campagna, con la sua gente, i suoi modi di dire e le sue radicate tradizioni.
Dal punto di vista della traduzione, le sfide principali sono state due: la prima, quella di restituire al lettore italiano quel sentore leggermente demodé della narrazione così ben costruito dall'autrice, di modo da rendere credibile, anche dal punto di vista dello stile, l'ambientazione ottocentesca, pur senza rendere la lettura eccessivamente pesante (Rachel non è Manzoni… e nemmeno io!).
La seconda era legata al fatto che i quattro protagonisti principali si esprimevano in modo leggermente diverso l'uno dall'altro. Così il prete, unico ad aver ricevuto una vera e propria istruzione superiore, parlava in modo più forbito; viceversa, Tonho e Irineu erano più grezzi e Marialva più sempliciotta. Come rendere l'idea, anche in italiano, di queste differenze? Col prete non è stato difficile, visto che in molti casi ho potuto riproporre le soluzioni di Rachel: periodi ipotetici, utilizzo di congiuntivi e condizionali, lessico più ricercato. In qualche altro caso ho deciso di fare delle compensazioni e, se magari da una parte ero costretta a semplificare, sofisticavo da un'altra. Con i cugini è stato più difficile perché le soluzioni di Rachel avevano senso in portoghese ma non in italiano; ancora oggi, soprattutto negli ambienti più popolari del nordest brasiliano, la sintassi, la grammatica e persino "l'ortografia" del parlato non coincidono esattamente con quanto ufficialmente insegnato nelle scuole. Ho cercato quindi di non forzare troppo la mano optando per soluzioni morbide, come ad esempio quella di far usare a Marialva l'articolo davanti ai nomi femminili, come si fa ancora nelle campagne del nord Italia: la Firma, la Maria, la Rubina.
Infine, Maria: Maria che si esprimeva con proprietà (lei a scuola c'è andata!) ma anche con la semplicità che le permetteva di comunicare efficacemente coi suoi scagnozzi. Ebbene, quella Maria ero io! Ho indossato i suoi calzoni e sono partita con lei per questo incredibile viaggio durato mesi, "in sella al mio cavallo, Tiranno, e sotto al mio cappello di paglia".
È stato difficile consegnare questa traduzione e separarmi da Maria Moura e dagli altri personaggi della storia. Come sempre mi accade quando consegno un libro, per qualche giorno ho vissuto una sorta di "orfanità", una sensazione di vuoto e di perdita, un sentimento di saudade.
Riflettendo con una collega, mi sono ritrovata a paragonare la consegna di una traduzione al parto: dai un figlio alla luce ed ecco, non è più tuo, è del mondo. Questo libro, che ho avuto il privilegio di riscrivere per conto dell'immortale Rachel, ora è vostro.
Se e quando leggerete la storia di Maria, ricordatevi (anche) di me.