I cinesi leggono, leggono moltissimo. Avete mai visto le grandi librerie delle città cinesi? Sono negozi enormi, che occupano diversi piani di un intero edificio; un po' come i nostri grandi magazzini. Entrando in una di queste librerie si può assistere ad uno spettacolo davvero singolare: frotte di persone di tutte le età e di varia estrazione sociale, sedute per terra o sulle scale, leggono avidamente di tutto senza comprare niente, rimangono lì ore intere a divorare gli ultimi romanzi appena usciti, ma anche saggi e manualistica su ogni argomento dello scibile umano (i cinesi per tradizione hanno sempre avuto una grande passione per la manualistica). Un po' meno affollate risultano le sezioni dei classici, ma forse solo perché in buona parte sono opere che conoscono già o che hanno studiato a scuola. Non esistono ovviamente poltrone o divani, come accade nei nostri moderni bookstore, e del resto quanti ce ne vorrebbero per contenere quella folla sconfinata di clienti.
Nelle piccole librerie di quartiere, invece, si applica una prassi altrettanto curiosa: gli scaffali sono spesso pieni di libri usati, ma non si tratta di semplice compravendita gestita dai librai. Molti clienti cinesi applicano con regolarità una bizzarra forma di leasing letterario: comprano un libro, lo leggono e lo riportano alla stessa libreria che lo riprende in cambio di un sostanzioso sconto sul prossimo acquisto. E il volume riprende a circolare e a diffondere cultura.
Ho potuto osservare per la prima volta il fenomeno della lettura gratuita alla Beijing Tushu Dasha, una delle più grandi librerie di Pechino, non molto distante da Piazza Tiananmen: al piano terra c'erano delle ampie aree libere dagli scaffali in cui centinaia di lettori, seduti a terra o appoggiati al muro, consumavano letteratura. In un'altra libreria del centro, molto più piccola, ma più raffinata e ricercata nella scelta dei testi proposti, ho assistito alla stessa scena: scale e passaggi pieni di gente intenta a leggere. Del resto anche le biblioteche delle scuole e degli istituti universitari sono sempre affollate a qualsiasi ora del giorno. Se penso agli sgabelli e ai divanetti spesso semivuoti delle Feltrinelli mi viene da sorridere.
Insomma i cinesi, in proporzione, leggono molto più di noi (e del resto ci vuol poco) e leggono di tutto, ma c'è un genere che è particolarmente amato un po' da tutti con vendite che arrivano a superare i milioni di copie: i wuxia xiaoshuo cioè i romanzi di arti marziali e cavalieri erranti, vagamente paragonabili alla nostra letteratura di cappa e spada.
Quando sono stato alla Beijing Tushu Dasha, lo scaffale dei wuxia xiaoshuo era gremito di giovani seduti in terra che divoravano gli ultimi volumi usciti, probabilmente era uno dei reparti più affollati. Si tratta di un genere in Cina popolarissimo, ma che all'estero è stato tradotto piuttosto raramente, un po' per l'argomento, a noi quasi sconosciuto, un po' per la terminologia che spesso rimanda alla medicina cinese, all'agopuntura e alle arti marziali. Inoltre si tratta soprattutto di romanzi storici, ambientati nel passato più o meno remoto del paese. A causa della muraglia ideologica che fino a qualche anno fa rendeva il territorio cinese completamente impermeabile alle influenze occidentali e viceversa, questi erano tutti argomenti da noi noti solo agli specialisti, sinologi e studiosi dei vari settori. Oggi tutto questo sta cambiando: dopo più di cinquant'anni di egemonia statunitense l'asse politico, sociale e culturale ha cominciato finalmente a spostarsi rapidamente verso oriente e in particolare verso la Cina, l'India e il sudest asiatico.
La Cina si è aperta al mondo esterno e soprattutto al mercato globale, le merci cinesi hanno invaso i nostri paesi ed ora, a ruota di queste, cominciano ad arrivare anche i prodotti della loro storia e della loro civiltà, tesori di inestimabile valore artistico e letterario che sono il portato di una cultura antica quanto e più della nostra.
Prendiamo ad esempio il cinema cinese: ormai trionfa nei festival internazionali e, nell'ultimo anno, in molte città italiane si sono moltiplicate le rassegne ad esso dedicate. Ebbene tre dei film cinesi più famosi usciti in Italia tra il 2005 e il 2006, Hero, La Foresta dei Pugnali Volanti di Zhang Yimou, e Sette Spade, di Tsui Hark, senza contare La Tigre e il Dragone, di Ang Lee vincitore nel 2001 di quattro premi Oscar, si ispirano dichiaratamente ai wuxia xiaoshuo. Sono i figli legittimi di uno specifico genere cinematografico e televisivo che in Cina è sempre andato per la maggiore: il wuxia pian o cinema di arti marziali che deriva direttamente dai romanzi storici di cui si è detto.
Una caratteristica tipica di questo genere letterario è la serialità: la storia non si esaurisce in un solo volume, ma spesso prosegue in una saga che si prolunga per almeno tre o quattro tomi, così il lettore che si appassiona alla vicenda ne finisce uno e resta in sospeso aspettando con ansia di leggere il successivo per sapere come andrà a finire. Si tratta di un espediente letterario tipico della letteratura cinese classica, così come i brevi riassunti che introducono all'azione, all'inizio di ogni capitolo, o le citazione di versi tratti da famose opere poetiche del passato.
Anche lo stile, almeno nel caso di Jin Yong, riprende in parte le caratteristiche di certa letteratura tradizionale: le reiterazioni, l'uso di certe espressioni auliche e antiquate, l'infinita serie di nomi e soprannomi altisonanti dei personaggi, sono tutti espedienti che hanno lo scopo di immergere il lettore nell'atmosfera antica e rarefatta dell'epoca in cui si svolge l'azione. Anche i continui riferimenti alle tecniche e alla terminologia delle arti marziali, della medicina cinese e dell'agopuntura, e le citazioni filosofiche, che attingono a piene mani dal patrimonio degli ideali taoisti e buddisti, contribuiscono a ricostruire un quadro non solo storico, ma anche culturale, di quella che era la tradizione cinese prima dell'ultimo disastroso incontro con gli occidentali di due secoli fa e prima della rivoluzione maoista.
Del resto la riscoperta dei valori tradizionali, in primis del confucianesimo di stato, messa in atto dall'attuale classe dirigente, per il momento si è rivelata soltanto un'abile manovra strumentale alla salvaguardia del regime e dello status quo postcapitalistico, utile e necessaria a fornire un bagaglio ideologico alla vasta classe media borghese, formata da milioni di nuovi potenziali consumatori, che sta nascendo in questi anni a scapito delle classi inferiori, operai, contadini e sottoproletari, condannati a vivere in condizioni di miseria e sfruttamento senza precedenti, i veri artefici, col loro lavoro sommerso, del grande balzo in avanti della Cina di oggi.
Sapevo bene quanto fosse ampia la diffusione dei wuxia xiaoshuo in Cina, ma non avevo mai letto nulla, così sono andato in una piccola libreria cinese del centro di Milano e ho chiesto al libraio, un anziano dall'aria colta che parlava con un perfetto accento pechinese, di consigliarmi l'autore più famoso e più bravo di romanzi di arti marziali. Mi ha indicato senza esitazione un intero scaffale pieno delle opere di Jin Yong.
Il più famoso scrittore di wuxia xiaoshuo è senza dubbio Louis Cha, più noto sotto lo pseudonimo di Jin Yong, autore di quindici romanzi editi tra il 1950 e il 1972, anno in cui decise di smettere definitivamente di scrivere per dedicarsi alla revisione delle sue opere e all'attività di giornalista presso il quotidiano di Hong Kong Ming Pao da lui fondato nel 1959. Da quando ha iniziato la sua attività fino a oggi, Jin Yong ha venduto in tutto il mondo più di trecento milioni di copie (più di un miliardo se si considerano le stampe illegali che circolano da sempre sul mercato cinese). Dal 1970 ha fatto parte del Comitato di Redazione del Testo di Legge Fondamentale della Regione Amministrativa a Statuto Speciale di Hong Kong della Repubblica Popolare Cinese, che avrebbe regolato nel 1997 il ritorno della colonia inglese alla madrepatria, organo da cui si dimise nel 1989 per protesta contro la strage di Tiananmen perpetrata dal governo cinese. È stato inoltre insignito di diverse onorificenze e cariche accademiche in molte università sia in Cina che all'estero e oggi, alla veneranda età di ottantadue anni, quando la Cambridge University lo ha invitato per conferirgli un laurea ad honorem, ha pensato bene di trasferirsi in Gran Bretagna per meritare davvero il titolo che gli era stato offerto, studiando regolarmente per quattro anni come previsto dal corso. Una scelta del genere, al mondo d'oggi, lo fa proprio sembrare un po' come uno dei suoi personaggi, un antico cavaliere errante, legato a vecchi, polverosi ideali di onore, di giustizia e di lealtà di cui si sente tanto la mancanza, in Cina come da noi.