La storia legata alla traduzione di questo stupefacente libro di Michel Tournier è piuttosto particolare. Un anno e mezzo fa, sulla scia dell’esperienza partita nel 2001 e legata alla redazione della rivista Edison Square, interamente dedicata ai libri e distribuita gratuitamente in una trentina di librerie in tutta Italia, mi è stato proposto di creare una nuova casa editrice e di diventarne il direttore editoriale. Dopo lunghe e approfondite analisi, abbiamo deciso di creare Barbès Editore, una casa editrice che concentrasse la sua attenzione soprattutto sulla letteratura francofona, quindi francese, africana e antillese. Questa scelta, dalla quale deriva anche il nome «Barbès» (il quartiere di Parigi dove più antica è la mescolanza di razze ed etnie diverse), arrivava soprattutto dalla mia frequentazione delle cose francesi, da numerose e intense amicizie e da solidi contatti con il mondo artistico e intellettuale parigino. Tra i miei autori più amati c’era, da anni, proprio Michel Tournier, forse il più importante scrittore francese vivente. Avendo casualmente trovato a Parigi e letto il suo Journal Extime, una sorta di autobiografia per frammenti e immagini, quasi un testamento poetico, inedito in Italia, ho deciso di fare un azzardo, e di chiedergli di concedercelo per la pubblicazione. Non avevo niente da presentargli, la casa editrice non era praticamente ancora nata, c’erano solo delle idee da proporre. Sono riuscito ad avere il suo numero di telefono, l’ho chiamato e, dopo un attentissimo e sfiancante esame, il signor Tournier ha deciso: «J’ai beaucoup aimé ce que vous m’avez dit. J’y trouve de la passion, ce qui plus compte. Ça va, je vous donne le livre». Ci ha dato il suo ultimo capolavoro. Per pochissimo, quasi niente, sulla semplice fiducia. Da quel momento, grazie al signor Tournier, è partita la nostra casa editrice. Presentando agli altri editori il suo nome come primo libro del nostro catalogo, siamo riusciti ad avere autori importanti, libri che difficilmente avrebbero potuto essere concessi in pubblicazione a una casa editrice appena nata e senza protettori dietro.
Il lavoro con Tournier è stato intenso e interessante. In numerose telefonate e lettere, necessarie visto che lui non usa la posta elettronica e scrive tutto a mano, con una calligrafia molto grafica e molto ottocentesca, abbiamo deciso insieme molte cose. A partire dal titolo. Journal Extime è infatti un gioco di parole che nasce dall’invertire il senso di intime per guardare verso l’esterno. Questa sua autobiografia, infatti, è una autobiografia sull’intorno, su ciò che vede e che incontra nelle sue giornate, ed è da quello che il mondo e le cose gli propongono che Tournier parte per parlare anche di sé. In italiano, gli ho spiegato, Diario Estimo non avrebbe avuto lo stesso senso di extime, avendo la parola estimo un significato in sé completamente diverso. Dopo approfondite riflessioni abbiamo preso insieme la decisione più semplice: tradurlo con Diario Aperto.
Ma anche altri sono stati i punti di discussione. E in alcuni casi è stato necessario inserire delle note perché non tutti i giochi linguistici e semantici di Tournier permettevano una traduzione in italiano. Difficile ed esaltante è stato, per me, come traduttore, tentare di restituire l’assoluta leggerezza densa della scrittura di Tournier, che nelle descrizioni dei paesaggi, dei giardini, delle persone, raggiunge io credo in questo libro dei vertici di assoluta perfezione. Lavorare con lui, parlarci, sentir definire il mio accento «un po’ marsigliese ma molto simpatico», è stata una delle esperienze più belle della mia per ora breve esperienza di traduttore e di editore.