Nel primo TableT della stagione, organizzato da Aiti e Stradelab e che si terrà in presenza mercoledì 4 ottobre dalle 17 alle 19 presso il Laboratorio Formentini di Milano, si rifletterà insieme alla psicologa e psicoterapeuta dottoressa Liesbeth Elsink sull'identità del traduttore e sull’impatto della professione, sull’immagine che il traduttore ha di sé stesso e che proietta all’esterno. Come tutti coloro che lavorano con la creatività e la conoscenza, chi traduce ha un rapporto spesso identitario con il proprio mestiere, soprattutto se si tratta di traduttrici e traduttori “puri”, che di traduzione vivono. È la grande differenza tra “fare” un lavoro ed “essere” quel lavoro. La traduzione è infatti spesso totalizzante e tracima dai confini dei lavori “normali” sia come orari sia come coinvolgimento emotivo e intellettuale, dei rapporti personali che si creano con autori, committenti, colleghi, lettori, nella vita reale e sui social. Nelle case history positive, “essere” una traduttrice o un traduttore è sicuramente fonte di grandi gratificazioni, che possono però tramutarsi in crisi di identità quando si è costretti, per motivi contingenti legati alla precarietà, a relegare questa professione a un ruolo secondario.
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Liesbeth Elsink
Dopo una prima laurea magistrale in letteratura e linguistica con specializzazione in traduzione all'Università di Utrecht, la dottoressa Liesbeth Elsink si è laureata in Psicologia clinica. Lavora come psicologa e psicoterapeuta con adulti e ragazzi individualmente e si occupa di psicologia del lavoro, crescita personale e strategie per effettuare cambiamenti positivi.
A cura di Aiti e StradeLab