Niviaq Korneliussen
Traduzione dal danese di Francesca Turri
Editore: Iperborea, 2023
Con la pubblicazione del romanzo La Valle dei Fiori, della giovanissima e pluripremiata Niviaq Korneliussen (1990), il panorama editoriale italiano si apre alla narrativa contemporanea groenlandese, allineandosi al contempo ad altri mercati – come, ad esempio, quello anglofono e francofono, che avevano colto il potenziale di questa nuova voce già a partire da HOMO sapienne (2014), primo romanzo dell’autrice.
La Valle dei Fiori è stato realizzato in due versioni edite contemporaneamente (2020), una danese e una groenlandese, redatte in quest’ordine. Korneliussen preferisce utilizzare per entrambe il termine «originali», motivo per cui non è stata ritenuta problematica la scelta di tradurre il romanzo dal danese. Un simile atteggiamento emerge anche in relazione a HOMO sapienne, stilato in groenlandese e tradotto in danese solo in un secondo momento. Il testo è stato trasposto in lingue di più ampia diffusione a partire dal danese e, come rivela l’autrice nel corso di un’intervista per Eye on the Arctic (2017), lei non ritiene questa pratica discutibile, dato che percepisce come personale anche la lingua danese che utilizza («I don’t mind the fact that it was translated from Danish to French, because I still feel the Danish is mine»).
La fama di Korneliussen, già nota oltre i confini nazionali in seguito alla pubblicazione del romanzo d’esordio, viene consacrata dall’assegnazione del prestigioso premio del Consiglio nordico (Nordisk Råds Litteraturpris), nel 2021. Questo risultato è ancora più significativo se si considera che La Valle dei Fiori è il primo libro di un’autrice groenlandese a ottenere tale riconoscimento. Durante la premiazione, Korneliussen tenne un discorso caratterizzato da una forte componente emozionale e, al contempo, da una certa durezza, e le sue parole ebbero una risonanza mediatica notevole in ambito nordico. Al fine di contestualizzare La Valle dei Fiori, nonché di fornire al potenziale lettore italiano un’esperienza analoga a quella della controparte nordica, si è deciso di allegare alla postfazione del romanzo la traduzione di questo discorso. Anche la postfazione è stata guidata dagli stessi criteri, vista la lontananza, concreta e figurata, del pubblico italiano rispetto al mondo e alle dinamiche descritte. Si può ipotizzare che a questa sensazione di ‘estraneità’ possano contribuire, oltre all’evidente distanza geografico-culturale, anche la relativa giovinezza della letteratura scritta groenlandese e, soprattutto, l’esiguo numero di parlanti della lingua. Basti pensare che il kalaallisut, unica lingua ufficiale del Paese a partire dal 2009, è parlato da poche decine di migliaia di persone al mondo – presupposto che limita fortemente la circolazione di opere redatte in groenlandese al di fuori dei confini nazionali. Diverso è il caso di autori che, come Korneliussen, padroneggiano groenlandese e danese e utilizzano entrambe come lingue letterarie.
Ne La Valle dei Fiori la ‘lontananza’ del vissuto groenlandese emerge anche su un micro-livello, ponendo inevitabilmente alcune sfide traduttive – sfide che, in parte, hanno coinvolto Korneliussen stessa nel passaggio, quanto meno ‘mentale’, dal groenlandese al danese. Si pensi, ad esempio, all’espressione danese «snuse til» («annusare», «fiutare»), che l’autrice utilizza in modo del tutto personale: con questo termine, infatti, Korneliussen indica un comune gesto d’affetto che consiste nello sfiorare con il naso una persona cara (familiari, partner o altro) e inspirare. Vi è dunque una ricodifica operata da Korneliussen stessa – nonostante, come si è ricordato, la prima stesura del romanzo sia stata quella danese. Il passaggio a una lingua terza implica, come ci si può immaginare, un’ulteriore riflessione, che non necessariamente rispetta sempre le scelte di ‘traduzione’ di Korneliussen.
Un altro aspetto degno di nota da questo punto di vista è l’insistenza sulle diverse modalità di esprimersi che contraddistinguono rispettivamente danesi e groenlandesi, e sulle incomprensioni che si generano nelle interazioni fra l’anonima protagonista e l’‘Altro’ danese. Una prima differenza è costituita dall’umorismo: la ragazza ha difficoltà a cogliere inflessioni sarcastiche e, d’altra parte, fa ampio uso di espressioni o battute che vengono avvertite come fin troppo prosaiche (se non direttamente scurrili) dagli interlocutori danesi. Un ulteriore livello di incomunicabilità, nonostante i personaggi parlino la stessa lingua, almeno su suolo danese, è dato dall’interpretazione letterale di locuzioni idiomatiche: in un paio di occasioni, infatti, il personaggio principale dimostra di non sapere operare una distinzione tra uso figurato e concreto. Queste stesse modalità espressive, in un certo senso, potrebbero essere considerate una cifra stilistica del romanzo nella sua interezza, dato che i pensieri e le speculazioni dell’io narrante si manifestano frequentemente nel ricorso a immagini materiali, spesso legate alla corporeità. Ad esempio, in una scena in cui la ragazza si ritrova a mentire ai genitori, il suo senso di colpa è descritto come segue: «Se mi ferissi, in questo momento, uscirebbe sangue nero» (104). In qualche caso, tuttavia, si è ritenuto che le metafore utilizzate da Korneliussen potessero generare un effetto straniante in italiano – in virtù delle specifiche immagini proposte o del coinvolgimento di ambiti semantici diversi tra loro e avvertiti come ‘incompatibili’ – e, per questo motivo, si è optato per smussare questa peculiarità a favore di un maggiore addomesticamento.
Come accade non di rado nel passaggio da una lingua scandinava all’italiano, anche la sintassi del testo originale è stata addomesticata al fine di variare lo stile ‘telegrafico’ del danese di Korneliussen, che si distingue per frasi brevi e una netta prevalenza della coordinazione a scapito della subordinazione. Il ritmo, tuttavia, risulta piuttosto serrato anche nella versione italiana, complice l’abbondanza di dialoghi quasi ‘teatrali’, in cui le battute si alternano lasciando poco spazio alle descrizioni. Inoltre, verso la fine del romanzo la prosa si fa quasi sincopata, soffocante, e questa caratteristica del romanzo è stata ricreata in traduzione tramite una più stretta aderenza alla sintassi danese – allo scopo di evidenziare, anche da un punto di vista più prettamente linguistico, la spirale di distruzione che porta alla drammatica conclusione de La Valle dei Fiori.
Un elemento su cui si è deciso di intervenire il meno possibile, invece, è il plurilinguismo del testo, nel quale sono presenti termini e frasi in groenlandese (occidentale e, talvolta, orientale) e in inglese. Nel primo caso, si è ricorso a note a piè di pagina, mentre le locuzioni inglesi sono state tendenzialmente riportate in maniera pedissequa. Rinunciare alla compresenza di queste lingue, infatti, avrebbe comportato una perdita non da poco se si considera il ‘multiculturalismo’ del contesto delineato da Korneliussen: groenlandese e danese sono entrambe lingue che fanno parte della quotidianità della protagonista, e lo stesso si potrebbe dire dell’inglese, lingua franca del web e dei social, di cui la ragazza fa ampiamente uso.
Tramite le scelte citate si è dunque tentato di trovare un compromesso tra l’aderenza all’originale e l’ambizione di andare incontro al pubblico italiano, nella speranza di favorire una buona circolazione del romanzo e, parallelamente, di fornire un primo approccio al contesto della Groenlandia postcoloniale, sia in quanto tale sia in relazione alla Danimarca – dalla quale l’ex colonia artica, nonostante disponga di «un livello di autogoverno assai elevato», non è ancora indipendente.
Francesca Turri