Matematica congolese di In Koli Jean Bofane, nato nel 1954 nella Repubblica democratica del Congo e residente in Belgio dal 1993, è un “giallo” ricco di sfumature linguistiche e semantiche proprie del contesto africano, pertanto affascinante da tradurre.
La difficoltà principale è consistita nel sintonizzarsi sulle frequenze del testo, nel coglierne il ritmo e i numerosi rimandi, nel resettare la modalità di approccio e reimpostarla sui parametri emersi in fase di lettura. Lo scenario è quello di una Kinshasa lacerata dai conflitti politici e dalla miseria, dove la fame è una realtà istituzionalizzata al pari del racket e della corruzione, e che solo molti anni dopo, nel 2006, vedrà realizzarsi l’auspicata svolta democratica con le prime vere elezioni nella storia del Paese, evocate nelle pagine finali.
È lì che si compie la fulminea ascesa sociale di Célio Matemona, un orfano di guerra con spiccate doti per la matematica. Pur lavorando per un organo del potere, con il compito di manipolare l’informazione secondo i piani della presidenza della Repubblica, il giovane non dimenticherà gli amici meno fortunati di lui, soprattutto Baestro, sul cui brutale assassinio tenterà di fare luce con mezzi insoliti: derivate, equazioni, teoremi, teorie quantistiche e fissione nucleare, gli stessi strumenti ai quali ricorre per debellare i mali di Kinshasa.
Sul piano linguistico, il francese risente spesso della sintassi e del lessico locali, in particolare nell’impiego delle preposizioni e di alcuni termini come “bureau” nell’accezione di amante.
Da considerare anche i frequenti innesti di lingala, una delle quattro lingue bantu riconosciute come idiomi nazionali, riscontrabili soprattutto nei dialoghi tra la gente del popolo e tradotti in nota dall’autore. Questi sprazzi di oralità pura conferiscono un tono di colore a uno stile sobrio, “geometrico” – è il caso di dire –, talvolta digressivo, come nella toccante descrizione della guerra che ha segnato l’infanzia di Célio, la sua fuga nel bosco insieme ai genitori e alla sorellina al termine della quale si ritrova orfano.
L’universo del romanzo, come quello della capitale, brulica di personaggi: popolani, politici, funzionari di Stato, militari, mogli, amanti e l’immancabile stregone. Mi sono quindi adoperata per modulare il registro espressivo a seconda dell’estrazione sociale e delle funzioni professionali, nel duplice intento di aderire alla realtà descritta e di evitare l’appiattimento linguistico poco conforme alla natura del testo.
In particolare, nel tradurre gli appunti segreti del maresciallo Bamba Togbia, decisivi per smascherare l’insospettabile serial killer, ho cercato di trovare il giusto compromesso tra lo stile semplice di una persona poco istruita e la fluidità di una lettura godibile.
Le peculiarità linguistiche e ambientali del romanzo hanno imposto di passare al vaglio anche le soluzioni più scontate, come quella di non tradurre i nomi propri. Nel caso del giovane Mancino, ad esempio, ho optato diversamente, confortata nella mia scelta dall’autore stesso, al quale sono grata per avermi chiarito alcuni dubbi. Nelle sue intenzioni quel nome, anzi, quel soprannome, era tutt’altro che casuale, nel rispetto della tradizione africana. Il significato cui esso rinvia è fondamentale per cogliere i tratti caratteriali del personaggio e il senso di affermazioni come questa: “Per prima cosa, si era sbarazzato del soprannome troppo vistoso di Mancino per tornare al suo nome originale, Donatien”.
Al di là dell’intreccio ben tessuto intorno a un tema di grande attualità quale il potere dei media, Matematica congolese è una lettura appassionante anche per il viaggio nella cultura e nella storia recente di un popolo, tra schiocchi di tappi di bottiglia che fungono da pedine su un’improvvisata scacchiera di compensato, spiedini sfrigolanti sulla brace e l’arsura perenne, sovente lenita da una gassosa gelata nelle torride giornate di Kinshasa.
Stefania Ricciardi