Traduzione da: spagnolo (Argentina)
Cosa vuol dire tradurre Ñamerica
Articolo di: Sara Cavarero
Non è la prima volta che mi ritrovo a parlare di Martín Caparrós e questo perché, per mia grande fortuna, non è la prima volta che ho l’occasione di tradurre il suo lavoro, anzi a questo punto direi che posso definirmi quasi la sua voce italiana. E perché questo ha importanza, al di là della soddisfazione personale di tradurre una persona che stimo così tanto e di quella professionale di tradurre un autore di cui condivido le idee? L’importanza sta nel continuum. Nel caso di un autore come Martín Caparrós, che ha una propria voce bene definita, intercalari ricorrenti, modalità espressive tipicamente “sue”, come traduttrice, ogni volta che mi ritrovo a dover affrontare un suo testo, ho la sensazione di “tornare a casa”, di indossare dei panni (non sempre comodi, va detto) noti e in qualche modo di far entrare in risonanza il mio cervello con il suo per adattarmi a modi che conosco e per i quali ho individuato, nel tempo, delle soluzioni che ripropongo, laddove necessario, creando appunto un continuum che spero possa permettere al lettore e alla lettrice italiana di individuare subito l’autore. Di riconoscerne la sua, di voce. E questo è accaduto anche quando mi sono ritrovata davanti l’ultima delle mie fatiche, caparrossianamente parlando: Ñamerica. Perché una fatica? Innanzitutto direi per la mole. Sono oltre 700 pagine. Poi per il linguaggio. Mi spiego. In questo – direi meraviglioso – libro, Caparrós si propone di parlare di quella parte di America Latina in cui si parla spagnolo, per cui escluso il Brasile. Ecco spiegato il motivo del titolo e la presenza della lettera “ñ” che accomuna tutti gli ispanoparlanti. Ma che spagnolo si parla in tutti quei territori? Uno spagnolo diverso a seconda della zona. E quindi, mi sono ritrovata davanti a parole che non avevo mai sentito prima, a concetti declinati in modo diverso, a dialoghi che riportavano la parlata orale di aree molto diverse tra di loro non solo a livello linguistico. E Caparrós lo fa partendo dalle città. Per ogni stato sceglie una città e da lì procede con le sue analisi che, come sempre, sono taglienti, puntuali, attente e acute.
E impari. Non puoi non farlo. Impari espressioni sconosciute, impari luoghi non visitati (o approfondisci quelli visitati), impari modi di dire, modi di vedere, conosci realtà che inevitabilmente mettono in discussione la tua. Perché Caparrós riesce a farti capire – anche se può sembrare banale, non lo è affatto – quanto possiedi, per poco che sia, rispetto ad altri. E riesce a fartelo sentire in modo viscerale, che è il modo in cui le cose non si dimenticano più.
Poco tempo dopo l’uscita del libro, l’autore ha pubblicato un tweet in cui mi ringraziava per aver scritto “con lui” la versione italiana di Ñamerica. Ecco, io credo che questa sia stata la mia più grande soddisfazione a livello umano – non lo posso negare, nutro grande stima nei suoi confronti e un profondo affetto – e una soddisfazione a livello professionale perché è la sintesi di quello che è il lavoro di noi traduttrici e traduttori: “creare con”, “scrivere con”. Certo, il nostro è un lavoro piuttosto solitario, ma non è un lavoro individuale e il fatto che un autore riconosca quanto sia importante la mano del suo traduttore è un riconoscimento all’intera categoria. Perché leggere Ñamerica? Perché ci riguarda. Perché non è un racconto di terre lontane, è la narrazione di una realtà che ci coinvolge (a livello commerciale, anche, per esempio), perché ci insegna qualcosa non solo sugli “altri” ma anche su di noi e perché forse può offrirci quel dono prezioso in questi tempi a volte superficiali che è la consapevolezza.