Traduzione da: autore: Mahmud Darwish | editore: Feltrinelli, 2015 | traduttore: Elisabetta Bartuli e Ramona Ciucani | Traduzione dall'arabo
A volte tradurre diviene una rara esperienza di nutrimento intellettuale. Quando s’incontrano maestri di parole e di pensiero, la traduzione innesca illuminazioni e riflessioni stimolanti che continuano oltre il lavoro traduttivo e accendono la scintilla di uno studio avido a tutto campo sull’opera dell’autore.
L’incontro con il pensiero e i versi del fine poeta e intellettuale arabo Mahmud Darwish è stato, per me, quest’impagabile esperienza di crescita e scoperta.
Il progetto editoriale di Una trilogia palestinese, concepito dalla traduttrice Elisabetta Bartuli, offre la duplice possibilità di ritrovare in italiano la voce dell’autore palestinese, scomparsa dalle librerie, e di scoprire il suo “zibaldone palestinese” .
La raccolta contiene i tre maggiori testi in prosa dell’autore e un poema finale: Diario di ordinaria tristezza, 1973 (scritto in Israele durante gli anni giovanili della “presenza-assenza”), Memoria per l’oblio, 1987 (cronaca di un giorno vissuto sotto l’assedio israeliano a Beirut nel 1982), In presenza d’assenza, 2006 (summa del vissuto e dell’innovazione estetica dell’autore che si prepara al suo ultimo viaggio) e Il giocatore d’azzardo del 2009. Memoria per l’oblio, già apparsa in italiano nel 1997, è stata revisionata e riproposta da E. Bartuli per l’occasione, mentre le tre opere inedite sono state affidate alla mia traduzione.
Uno degli aspetti più impegnativi e appassionanti è stato lavorare sull’intertestualità. Nelle duecentotrenta pagine da me tradotte ricorrono più di centotrenta elementi intertestuali per la maggior parte citazioni (implicite ed esplicite), parafrasi, parodie e allusioni.
Per compensare il mancato processo di agnizione dei lettori italiani (che, a differenza di quelli arabi, non possono essere complici dell’autore nel gioco dei riferimenti intertestuali), al traduttore è richiesto un doppio sforzo: quello di ricercare le fonti, prima, e quello di riscrivere o ricorrere a espedienti traduttivi (es.: note, esplicitazioni, introduzione), poi. Il traduttore si trasforma, quindi, in biografo, storico, ricercatore nella fase di decodificazione dell’intertestualità del testo, divenendo, successivamente, il tramite delle intenzioni che spingono l’autore all’uso di elementi intertestuali.
Nelle opere giovanili, Diario e Memoria, è evidente che le numerose citazioni di scrittori ebraici o di cronache arabe medievali, le parodie dei motti degli intellettuali sionisti, le continue allusioni agli eventi del conflitto arabo-israeliano o della guerra civile libanese (eventi messi in relazione con Hiroshima e Vietnam) vengono impiegate per denunciare e criticare la politica di Israele, dei Paesi arabi e degli stati occidentali nei confronti dei palestinesi. Darwish riscrive la contro-narrazione palestinese servendosi delle stesse armi adottate dai sionisti: mito e tradizione. Negli intenti del poeta, l’ironia generata attraverso l’intertestualità diviene dunque arma politica.
Mentre in In presenza d’assenza, opera scritta due anni prima della morte, all’apice della maturità poetica, Darwish persegue un’operazione più ambiziosa. Qui la funzione dell’intertestualità è tutta estetica: il poeta aspira a lasciare il segno nella storia letteraria araba, vuole inserirsi come tessera nel prestigioso mosaico della turath ‘tradizione’ araba. E quale maniera migliore per farlo che quella di diventare una rima per le Mu‘allaqàt ossia i poemi che, dal VII secolo in poi, assurgono a modello poetico arabo per eccellenza. È questa metafora, titolo di una sua poesia , a suggerirci la meta del percorso creativo, iniziato dal poeta già nel 1995, ma che raggiunge il suo più spregiudicato risultato nella terza opera di Trilogia. La densità estetica di In presenza d’assenza è tutta nella prosa distillata negli alambicchi della poesia, una prosa che acquisisce il ritmo della poesia, che sfida le definizioni dei generi letterari e rispolvera il fiorito apparato retorico dell’arabo classico. L’audace commistione prosa-poesia riecheggia alcuni illustri esempi della letteratura araba medievale (es. L’epistola del perdono di al-Ma‘arri, le Maqamàt di al-Hariri), ma anche il prosimetro di Rimbaud, Baudelaire, Campana e Jibran. I riferimenti intertestuali presenti in questo originale testo autobiografico sono minori rispetto alle prime due opere della Trilogia ma più potenti esteticamente. Tra la maggioranza di allusioni spiccano: l’epigrafe iniziale e la solenne doppia chiosa finale con la citazione di un versetto coranico. Concludere con le parole del Corano, citato dal poeta per il suo valore letterario e non religioso, significa concludere con un omaggio all’essenza della lingua araba, adottando una pratica poetica frequente nella poesia araba medievale. Il caso dell’epigrafe è più interessante. Il verso (Non allontanarti – dicono seppellendomi. / Ma dove, se non lontano, è il mio posto?) è del poeta omayyade Malik Ibn al-Rayb al-Tamimi (m. 676), che sulla strada per Najd viene morso da un serpente e, aspettando la morte, scrive il poema che lo renderà celebre. Questa auto-elegia è, dunque, l’ipotesto su cui Darwish costruisce la propria auto-orazione funebre, nel solco della tradizione classica araba ma anche di quella del Vicino Oriente Antico e dell’oratoria pubblica bizantina. La scansione in venti brevi capitoletti, l’efficace apparato retorico dispiegato e la narrazione del percorso biografico del defunto rievocano infatti la struttura delle celebri orazioni funebri del Padre della chiesa Gregorio Nazianzieno in una forma di auto-epidittico singolare e affascinante.
Per mantenere l’agilità di lettura della raccolta, le direttive editoriali sono state quelle di inserire solo note a piè di pagina strettamente necessarie e in molti casi questo ha comportato la mancata segnalazione di alcuni elementi intertestuali importanti. Un utile espediente per facilitare l’orientamento dei lettori nella fitta miniera di riferimenti intertestuali si è rivelata l’idea di affiancare e pubblicare insieme i quattro testi, permettendo a chi legge di familiarizzare e gustare, nella ricorsività del percorso biografico ed estetico, l’immutata attualità, l’acuta ironia e la potenza retorica del pensiero del poeta palestinese.
A volte, una Nota del Traduttore può restituire curiosità e indicazioni importanti all’interpretazione del testo e al lavoro fatto dietro le quinte dal traduttore.
Ramona Ciucani