Quarantene, Ifigenia e denti di leone
di Carla Festi, traduttrice editoriale dal tedesco
da Innsbruck, Austria
16.03
Sullo sfondo del desktop ho messo Ifigenia, Das Land der Griechen mit der Seele suchend, un quadro dell’impressionista russo Valentin Serov. Mi sento un po’ come lei. Accoccolata sulla spiaggia, mi dà le spalle, i capelli legati come una ragazzina, a spiare un mare che non è il suo, a scrutare l’orizzonte cercando la sua terra.
Una distopia. Questa è la sensazione giornaliera quando alzo gli occhi dal laptop e vedo dalla finestra una primavera sfacciatamente bella. Eppure nell’aria, anche se hanno registrato un calo dell’inquinamento, c’è una minaccia sospesa e ben più inquinante. Le metafore si sprecano. Una sottile lastra di vetro tra me e il mondo fuori. Che non sarà mai più lo stesso. Da oggi l’Austria, paese dove vivo e lavoro, ha chiuso i confini con l’Italia e la Germania. Mi sono ritrovata da sola. Gli affetti – oltre che nel cuore – sono da tutt’altra parte.
18.03
In fondo cambia poco nel mio modo di passare la giornata. Come sempre, quando traduco mi metto in quarantena, all’autoisolamento sono abituata. Traduco molto di questi tempi. Si stanno preparando le mostre della prossima stagione. Mostre bellissime, che non saranno inaugurate. Ma le deadline di consegna sono improrogabili. Come sempre, vale il detto che ogni traduttore ben conosce: “da inviare entro ieri”. Il senso di confinamento non lo avverto come chi è abituato a uscire tutti i giorni e incontrare i colleghi in ufficio. Io per giorni e giorni incontro solo parole e i miei spostamenti avvengono in sfere vastissime ma assolutamente circoscritte. Skype, Telegram, Viber e quant’altro aiutano a sentirsi vicini alle persone di cui sentiamo la mancanza.
19.03
Le misure del governo Kurz sono dure da accettare. Alla conferenza stampa ripete bonario e pervicace come un prete – un po’ lo è, malgrado i suoi trentacinque anni e le giacche troppo sciancrate – che dobbiamo stare a casa, che insieme ce la faremo, che dobbiamo pensare a chi va protetto, che solo uniti e solo se ci atteniamo alle regole sconfiggeremo il virus. Ormai il linguaggio è quello bellico: avanzata del virus, difesa, protezione, rinchiudersi, attaccare... Kurz apre le braccia e ci chiede il sacrificio. Iniziano a bombardarci di slogan, quello ufficiale di governo e Croce Rossa, che imperversa ormai dal 15.03, è “schau auf dich, schau auf mich, so schützen wir uns” (il senso del proteggersi è un po’ legnoso: se hai riguardo per te, ce l’hai anche per me), in Tirolo è “ich bleib dahoam” “io sto a casa” – non molto originale rispetto alle varianti europee, ma detto in dialetto diventa subito più accettabile. Anche se a volte incomprensibile. Altro che lingua di Goethe. E il paese dei limoni – ritrovo il luogo comune traducendo i testi per la grande mostra che non verrà inaugurata - altro che il luogo della Sehnsucht goethiana. Un modello di pessima gestione della pandemia. “Guardate l’Italia, volete che ci succeda la stessa cosa?” è la domanda d’ordine dei politicanti di qui. Eppure ormai tutta l’Europa sa cosa è successo proprio nel Tirolo, nelle Ibiza dello sci, a Ischgl, a Sankt Anton. Il virus girava tranquillo già dai primi di marzo. Contagi tra il personale messi a tacere. Poi quelle stesse persone licenziate su due piedi e rimandate nell’Est Europa, appena la cosa è venuta a galla. I turisti messi alla porta nel giro di una sera. Tornate a casa. Come ci arriveranno, affari loro. E così il virus viaggia per l’Europa. Guardo le montagne. La neve di marzo luccica invitante, una sciata adesso te la sogni. I danni al turismo invernale raggiungono cifre mai sentite. La lobby di albergatori e costruttori di impianti sciistici chiude a denti stretti strutture e impianti. La stagione è finita. Perdite record. Il responsabile della Sanità tirolese ripete come un automa che le autorità locali hanno fatto il loro dovere e agito repentinamente. Uno scandalo senza precedenti, i contagi tirolesi arrivano fino in Islanda.
21.03
Non solo le roccaforti dello sci, tutto il Tirolo viene dichiarato zona rossa. Non c’è speranza di passare i confini, non ci sono treni, se vai in macchina la polizia ti ferma. Non si può uscire dal proprio comune se non per le solite quattro buone ragioni. Una di queste la trovo molto buffa: “Se vi sentite cadere il soffitto in testa”, dice don Kurz con un sorriso di misericordia, certamente potete uscire ma distacco, mascherina, starnutire nel gomito, niente assembramenti, giro dell’isolato. Gli austriaci fanno fatica. La polizia, autodichiaratasi amica della popolazione, si dà un gran daffare a scovare i cosiddetti “Corona-Party”, cittadini sconsiderati e spesso alcolizzati più del dovuto che a starsene tappati in casa proprio non ci pensano. Chi ha un cane di questi tempi, sta alla grande. In giro ci sono solo proprietari di cani. Comincio a sentirmi in trappola.
25.03
Hanno chiuso la passeggiata lungo l’Inn, hanno chiuso la ciclabile, il parco giochi, i parchi pubblici. Il bosco, per fortuna no. Da casa mia lo raggiungo in venti minuti a piedi. Non ne avrei bisogno. Ho pur sempre un giardinetto. Quando sento il proverbiale soffitto che mi cade in testa, scappo in giardino. Le vere avventure sono in testa, diceva il cantautore André Heller. Proprio così. Oggi ho ripreso in mano il romanzo di un’autrice tirolese. Ho fatto un viaggio a Kundupur e nel Mustang, poi sono tornata a Roma, nelle necropoli etrusche di Ostia e da lì in Sardegna, in un casa sul mare. Un romanzo che è una via di mezzo tra un resoconto di viaggio e un saggio sull’arte antica. Dove termina il reportage e dove inizia la narrazione? Sfondare i confini del genere letterario. Anche qui mi aiuta Berman: non c’è la traduzione, ma lo spazio delle traduzioni, che ricopre lo spazio di ciò che è ovunque, in ogni luogo, da tradurre”. Devo informarmi, fare ricerche, scarico il Libro dei morti dell’antico Egitto, confronto citazioni, poi traduco di testa mia. Chiedo lumi all’autrice, che mi chiede di essere libera. Liberarmi dal testo. Sì, i momenti migliori sono quelli in cui si entra nelle immagini dell’altro e si viaggia nella propria lingua. Uccidiamo l’autore, penso a volte. Poi mi ravvedo: sono stata invitata nella lingua dell’altro, prendo posto e mi comporto educatamente. Non sono a casa mia. Ma: ich bleib dahoam.
29.03
I colleghi dell’università fanno corsi online, sono quasi lezioni individuali, lavorano il triplo, mi dicono sfiniti. Anche tutte le riunioni sono via Zoom. Ormai le università perderanno tutto il semestre estivo e programmare iniziative culturali diventa assurdo. Tutti cancellano, disdicono, rimandano, chiudono. Che ne sarà del Festival di Salisburgo? Chi vive di arte, di contratti precari è messo malissimo. Forse peggio delle commesse dei supermercati che con la nuova legge del Kurzarbeit (di nome e di fatto: cassa integrazione) mantengono il posto di lavoro e prendono l’80 per cento della busta paga.
30.03
Le misure di contenimento/confinamento che dovevano essere allentate oggi sono prorogate fino a Pasqua. Tutti i telegiornali, nazionali e non, parlano di Corona. I piani di salvataggio finanziario iniziano a essere concreti. Tra i settori meno presi in considerazione, quello culturale. Si sprecano le petizioni ai ministeri, anche da parte delle associazioni dei traduttori. Sottoscrivo, invio e diffondo. Ma i creativi ora si sono spostati in rete. Penso che se la pandemia fosse dilagata dieci anni fa (videotelefonia scadente, pochi videofilmati, streaming di notizie, serie o film ancora inesistenti), forse la tecnica digitale non ci avrebbe aiutato come sta facendo ora. Le newsletter di tutte le istituzioni cui sono iscritta mi aggiornano regolarmente su letture, dibattiti, interviste, musica da camera in camera. Non faccio in tempo a seguirli. Offerta smisurata. Mi diverto a confrontare gli sfondi delle stanze da dove gli autori leggono. Qui una parete piena di libri, là un quadro o un poster oppure un muro bianco e spoglio. Dopo un po’ mi stufo. Non nego che ci sia un effetto trascinamento più forte che in una serata di lettura pubblica (l’autore sta guardando negli occhi proprio te). Ma mi dà fastidio la faccia ripresa male, il primissimo piano. Mi mancano le voci e le facce del pubblico, il bicchiere “post” bevuto insieme, i colpi di tosse fuori luogo. E poi, con chi commento? Vado su Skype o su Zoom e mi incontro lì con gli amici?
5.04
Leggero senso di panico. Gli scenari economici sono disastrosi. Soprattutto quelli dopo Corona. Il mondo che rinascerà dalle macerie. Kurz dice che gli austriaci sono bravi e che grazie alla nostra disciplina siamo riusciti – diversamente da altri paesi – a raggiungere il picco in modo graduale e che ora siamo sul plateau. Peccato che non si avvisti il rifugio. Ma dobbiamo sforzarci ancora. A Pasqua tutti “dahoam” e la classica caccia alle uova nascoste dal coniglietto si farà in privato e senza i nonni. Le categorie vulnerabili. Anche nelle case di riposo austriache ci sono state delle grosse mancanze, anche qui chi doveva essere protetto è, invece, morto. I nonni degli spot televisivi sono invece sani e radiosi e sanno usare il tablet. Salutano i nipotini via smartphone e (come a Napoli) calano il cestino dalla finestra delle loro belle case, che i nipotini riempiono da sotto di ogni ben di Dio. “Io non vado a trovare la nonna perché la voglio avere tutta per me ancora per tanto tempo”, promette una dolce bambina. La pubblicità, che qui chiamano campagna di informazione, si è impossessata senza pietà della pandemia. Spengo e torno tradurre.
6.04
Obbligo di portare la mascherina nei mezzi pubblici e nei supermercati. Ho esercitato ogni mossa, sono bravissima nelle sequenze. L’unica sensazione di fastidio sono gli occhiali appannati. Ma la rete mi aiuta, ci sono dei video su YouTube che si occupano anche di questo: come evitare che si appannino gli occhiali. Sono (quasi) felice. Ho trovato un ritmo in queste giornate. Pulisco casa e traduco. Lavoro in giardino. Faccio una passeggiata in mezzo alle case. Disinfetto con soddisfazione maniglie e interruttori. Ho tutto sotto controllo. Devo stare attenta a non toccare gli occhiali quando porto la maschera e a non grattarmi dopo aver tolto la maschera. Certo, che un virus simile ti stressa la vita. Decido che la spesa la farò solo una volta alla settimana.
8.04
Se a Pasqua saremo tutti a casa, dopo Pasqua alcune misure saranno allentate. Fase 2. Piccoli negozi e centri di bricolage potranno riaprire. Perché i centri di bricolage e giardinaggio e non i centri commerciali, si chiedono i patiti dello shopping? I fiori, miei cari, i gerani, le primule, le violacciocche che a Pasqua gli austriaci comprano in massa per decorare i balconi. E poi, bisogna pur ripartire. E ora inizia la stagione in cui si cura il giardino, lo sport nazionale. Insomma, qualcosa di “necessario” come i negozi di abbigliamento per bebè che riapriranno in Italia dopo il 14 aprile. E finalmente, le librerie. Non c’è nulla di peggio che ordinare libri in rete. Io non ho ordinato nulla, nella mia biblioteca ho ancora alcuni classici che mi attendono. Ma andare in libreria e far scorrere lo sguardo su tutte quelle copertine e trovare quello che ti piace, è un’esperienza che vorrei presto ripetere. Per svagarmi, raccolgo l’appello di alcune colleghe italiane e traduco la poesia di Roberto Piumini, “Che cos’è che in aria vola?” una filastrocca semiseria per spiegare ai bambini il fenomeno del virus. La giro anche a una traduttrice ladina, che la traduce nella sua madrelingua, il ladino della Val Gardena.
12.04
È Pasqua e non cambia nulla. Seguo le curve in Italia che sia appianano troppo lentamente, mentre qui non ci possiamo lamentare, dice Kanzler Kurz. Abbiamo appena poco più di 400 decessi su 9 milioni o poco meno di abitanti. Nonostante i tagli alla sanità avvenuti qui come in tutta Europa, ci sono i posti per la terapia intensiva; in Cina abbiamo ordinato milioni di mascherine; si faranno i tamponi a tutti gli anziani e al personale delle case di riposo. Insomma, abbiamo evitato “italienische Verhältnisse”, una situazione all’italiana. Ma gli italiani fanno notizia quando sui balconi alle 18 fanno i concerti. E gli austriaci li imitano. Insieme al virus si sta diffondendo tra intellettuali più e meno famosi un nuovo genere letterario, il diario ai tempi del Corona, un altro effetto collaterale, se vogliamo, della pandemia. I diari sono in realtà tutt'altro che irrilevanti. Penso ad Anne Frank, a Frida Kahlo, a Alice Walker: i loro diari costituiscono un archivio di esperienze e osservazioni che altrimenti sarebbero state sistematicamente cancellate o stigmatizzate. Ma non sarebbero più interessanti i diari di chi non ha il tempo di scrivere un diario perché sono le loro professioni che ci permettono di mantenere in piedi il sistema? Infermieri/e, riders, commessi/e del supermercato e le forze di sicurezza.
14.04
Hanno riaperto i suddetti negozi. Il nostro Kanzler arriva alla conferenza stampa con la mascherina, con lui come sempre il ministro della Salute e quello degli Interni. Noto che appoggia le mani sul podio. Mi chiedo se lo avranno disinfettato prima, ormai è un riflesso condizionato. Dice che siamo stati bravi, ma che dobbiamo continuare ad esserlo. Se non siamo bravi, ci toglierà quel poco che ci ha concesso. Kurz non è come Orban, ma di certo la vita parlamentare ha un po’ sofferto in queste settimane. E iniziano a fioccare le prime interrogazioni di costituzionalisti che vogliono sapere se le norme rispettino effettivamente i diritti fondamentali dei cittadini o se invece questi non vengano in parte esautorati. I giuristi si danno da fare. Se lavorando in casa – ora si chiama home office – si ha un incidente, sarà considerato un incidente sul lavoro o un incidente del tempo libero?
15.04
I parrucchieri per cani hanno riaperto, è una buona notizia, stando ai numerosissimi esemplari che si sono visti in giro in queste settimane. Si torna lentamente alla normalità, ecco una frase che alla gente piace. Non sarà più la stessa, la normalità, ma ormai so come muovermi nel mondo del Corona. Ho ritualizzato i gesti. Ho meno paura. Sono felice di poter scendere in giardino, di camminare nel bosco e poter schivare le persone. Felice di evitare i jogger, che corrono come se dovessero allenarsi per l’ultima maratona della loro vita. Senza ritenere necessario proteggere con le mascherine il prossimo dalle emanazioni delle loro ghiandole sudoriparo-salivari. Sono felice perché la pseudo normalità incrina un po’ la superficie del vetro che c’è ancora tra me e il mondo esterno.
18.04
Uno studente di archeologia, arrivato in Austria due anni fa, profugo siriano. Rivolta terra nel giardino. Immagino che pensi alle sue campagne di scavi in Siria. Ma portiamo la maschera e manteniamo il distanziamento fisico (sociale?). L’archeologo mi dice che in Siria ci sono ancora pochissimi casi, dovuto al fatto che praticamente non ci sono contatti esterni di tipo turistico o commerciale. Il mondo "civilizzato" dice costantemente alla gente dei paesi poveri e dilaniati dalla guerra di restarsene a casa loro, ora siamo noi, che viviamo nella prosperità, a dover rimanere a casa. E ci pesa. Forse riusciremmo a metterci nei panni degli altri?
Mai come ora la metafora di Anna Nadotti sul traduttore giardiniere, ora che finalmente dopo anni di lavoro inteso all’università, riesco a occuparmi del giardino. Un seminario a Torino all’inizio del nuovo millennio. Il tempo del virus è anche il tempo dei ricordi. Eravamo una ventina di giardiniere “in erba” ad ascoltarla. “Seminare, innaffiare, concimare, innestare, dissodare, ossia cercare degli spazi di intervento. Ma anche potare, sfoltire, ma non perché l’originale sia inutile ma per trovare un’altra forma. Annusare i fiori e anche gli autori che traduciamo. Coglierne il respiro, mantenendo il nostro ritmo. Essere tenaci, giorno dopo giorno”.
Tenacia quando traduco, quando disinfetto, quando strappo i denti di leone, quando mantengo il distacco di un metro e mezzo. Tenacia nel credere che un giorno ritorneremo a occuparci di altri problemi.