Confinamento da Vipava, Slovenia

Argomento: Confinamenti
Autore: Patrizia Raveggi, traduce dallo sloveno e dall'inglese
Pubblicazione: 10 aprile 2020

Tradurre al tempo del colera
Patrizia Raveggi
da Vipava, Slovenia

Vipava, 5 marzo 2020
Domenica delle Palme

Cornice da Decameron dell’isolamento nel Litorale sloveno, una vallata attraversata da un affluente di sinistra dell’Isonzo, il fiume Vipava (Vipacco in italiano) – al momento è tutta in fiore, si sono svegliate anche le api che pascolano sui bocci dei tantissimi ciliegi e dei peschi e sulle corolle gialle del tarassaco, e non badano all’odore (in Toscana il tarassaco viene detto anche pisciacani... et pour cause).

Qui le limitazioni sono inferiori a quelle sofferte dai miei connazionali ormai da settimane, d’altro canto probabilmente il virus ha fatto la sua visita a fine gennaio, a Caput Mundi, arrivato da chissà dove e ripartito dopo una decina di giorni di pesante malessere. Lo avevo dimenticato, ma confrontando i sintomi di gennaio con quelli che ormai ci stanno stampati in mente come i dieci comandamenti, vedo che ci siamo, con variazioni sul tema, se non era proprio LUI, gli assomigliava molto.
Svanito senza che pensassi a dargli un nome, e chissà – ma non ci conto – che non mi abbia regalato una qualche parziale immunità...

Ogni giorno o quasi, abbandono il tavolo da lavoro (le traduzioni!) per un’ora e mezzo oppure due di marcia verso il sottostante paesino; là all’ombra di giganteschi platani sgorgano alcune delle numerose sorgenti del fiume, un angolo sovrastato da una ripida erta quasi montana e incastrato tra rocce coperte di muschio, un antro profondo da cui spira un fiato verde, umido anche durante le canicole estive.
Davanti gli si allarga una laguna a colori marezzati, cangianti, frequentata da Germani reali.

Il paesino è vuoto, non ci sono auto nel parcheggio della piazza principale, adiacente al Parco Barocco. Il bar, in altri tempi meta di golosi da tutto il Litorale sloveno per i gelati fatti in casa, è sbarrato e così il ristorante e i negozi, salvo il sempiterno Mercator, non più sloveno, e la catena di Fama, presente in tutta l’area. Da alcuni giorni, mi pare da fine marzo, l’accesso ai negozi è permesso solo con mascherina o con il volto coperto da una sciarpa, i guanti – obbligatori – vengono forniti all’ingresso. I clienti sono rari, entrano cauti, ho osservato con un po’ di tristezza che la distanza interpersonale obbligatoria sembra essere stata non solo accettata senza rimpianti, ma con un certo sollievo, come se le moderne smancerie – abbracci e baci tra adulti, il prendere per il ganascino i bambini –, tutto sommato non fossero mai state percepite come appropriate da questa popolazione riservata, portata alla solitudine già di suo. Mi è capitato tuttavia nel mercato all’aperto settimanale di frutta e verdura, l’episodio di una persona che all’oscuro di tutto e ignorando le prescrizioni cautelative, ha passato allegramente la fila di noi clienti mascherati e inguantati, e senza alcuna protezione ha fatto i suoi acquisti e se n’è andata, forse, chissà, poi si è chiesta perché mai oggi tutti fossimo così singolarmente attrezzati.

Alcuni generi esauriti in tutti i negozi, il lievito fresco, la carta igienica, certi tipi di yogurt, non so che altro.

La piazza successiva, intitolata a Pavel Rušt(1), eroe eponimo, contadino nato e vissuto a Gradiščè, frazione di Vipava, leggendario eroe della Battaglia del Nanos del 18 aprile 1942 e fucilato a Forte Bravetta con la sua Compagnia partigiana il 26 giugno 1942, è il vero cuore della cittadina. Edifici che risalgono al XVIII secolo, un’atmosfera di grazia appartata e molto urbana, di una floridezza che si spiega con il prosperare dell’economia locale dal XVII al XIX secolo grazie alla costruzione di una via di comunicazione tra il litorale e l’interno carniolino che fece di Vipava/Vipacco una importante tappa negli scambi commerciali – last but not least, i vini locali, molto pregiati e apprezzati – che si estendevano, tramite Lubiana, fino a Vienna.

Nel tempo in cui il contagio non sembrava l’enormità che si è poi rivelato, ed era ancora possibile partecipare a manifestazioni non espressamente proibite, in un Teatro di Lubiana e in una sala gremita di spettatori, ho assistito a una mirabolante performance in monologo del monodramma Cefuri raus!, un solo attore a impersonare il protagonista e tutte le altre figure del romanzo; era il 5 marzo e solo il 15 marzo ho tirato un sospiro di sollievo, l’incubazione era finita; tuttavia, questi bagni di folla, a inizio marzo cominciavano già a essere sentiti un po’ rischiosi anche in Slovenia, il cerchio si stava stringendo, tutto tra poco sarebbe cambiato, nella piccola Repubblica come da noi. E poi, i giorni successivi, l’accavallarsi delle notizie dall’Italia, il tempo sospeso da un bollettino all’altro, le cifre inconcepibili di positivi e di morti, le immagini delle bare sullo schermo del cellulare (non ho TV), l’orrore delle morti solitarie, il pensiero annichilito e paralizzato, l’impossibilità di concentrarsi su alcunché. La potenzialità distruttrice del nemico invisibile ormai era palese, l’infinità di barzellette e vignette umoristiche e video comici in arrivo da ogni Paese, che inizialmente avevano mitigato l’angoscia dell’assedio, adesso risultavano insopportabili.

Il senso di oppressione, incancrenito, per giorni e settimane ha stravolto anche i sogni, ormai incubi visitati da immagini di fuga e impotenza, la consapevolezza che qualsiasi cosa succeda alle persone care in altre parti del mondo, noi non potremo essere d’aiuto. Quello che ormai da decenni è un attributo della modernità, l’agilità degli spostamenti mondiali, oggi è brutalmente cancellato. Non ci è più dato di raggiungere un nostro caro che abbia bisogno di noi. Le barriere distrutte nell’ultimo mezzo secolo, sono risalite, il progetto di civiltà europeo, basato sulla libera circolazione di persone, idee e capitale, all’impatto con la minaccia ha reagito scompostamente, ogni membro a modo proprio, e in modi anche contraddittori, la maggior parte si è isolata, ma altri hanno deciso di lasciare che il virus si diffondesse tra la popolazione ...molti dovranno piangere la perdita dei propri cari...

Da apprezzare in Slovenia il servizio di assistenza ai più fragili, la possibilità di ricevere le vettovaglie a domicilio, un’assistenza prestata volontariamente ed efficacemente, a Vipava anche le mascherine vengono recapitate a domicilio (non so se questo vale in ogni Comune).

Segnali di un declinare della curva pandemica, in Europa sembrano giungere da varie parti. Il quadro torna terrificante non appena si allarga lo sguardo agli altri Paesi, agli altri Continenti.
Nell’attesa che l’incubo si allenti, la parola di Dušan Šarotar, poeta di Murska Sobota, sul passato...

...il passato, tutto ciò che è trascorso, e non c’è proprio più, questa è l’invisibile sostanza della letteratura. …tanti scenari stampati, trascritti, che giacciono in penombra nella camera oscura della memoria, in attesa che le dita della nostalgia li illuminino...

...incontra un’immagine di grande potenza e attualità inoltratami oggi, Domenica delle Palme, dal Kerala – India meridionale – l’interno sobrio, estremamente semplice, di una chiesa cattolica: file di panche vuote, adorne di lunghe foglie di palma; un messaggio di affetto e di monito Stay home! dall’archivista di New Delhi, persona fuori del comune, come tutto lo straordinario personale dell’IIC con cui all’epoca spartivo le opere e i giorni; e ancora oggi, Domenica delle Palme, un altro messaggio, in una bottiglia lanciata in mare chissà quando, Dresda, Berlino, il Muro, tracce in bianco e nero sopravvissute a un tempo che non c’è più, ma la cui fiamma ancora riscalda e sa evocare amicizia e letteratura.

Entrambe le epifanie sono emerse passando attraverso libri e riposano sul sommesso richiamo, l’invito che tutti sentiamo ma al quale non sempre decidiamo di rispondere, che la memoria ci rivolge tramite un libro, tramite i libri.

Come queste due testimonianze mi hanno illuminato la giornata, la settimana e probabilmente tutto il resto dell’anno, così un libro importante che entra nella nostra vita può cambiarcela per sempre.
La riflessione di un poeta sull’arte, sulla letteratura, invita a riflettere:
 ...Ogni uomo è un’isola o anche nessun uomo è un’isola… l’arte è arte dell’empatia, la lingua è il mare tra le nostre solitudini, la parola è distanza e insieme prossimità, la via che porta verso l’Altro...

Tra isolamento e sfide traduttive, si radica e si elabora la gratitudine verso i testi che stimolano alla ricerca di macchine del tempo con cui ricostruire e dare credibilità a universi narrativi altri, nell’attesa che si rivelino le parole con cui renderli.


(1) OMAGGIO A PAVEL RUŠT
In prossimità del 25 aprile, che quest’anno da nessuna parte potrà essere celebrato adeguatamente, una data così importante e fondativa per l'Italia come la conosciamo oggi, vorrei rendere omaggio all’eroe eponimo della piazza di Vipava, Pavel Rušt, insieme a ogni voce che stimoli la memoria, che aiuti a non dimenticare. Nato sotto sovranità austriaca nel 1909, a Maria Petrič, moglie del piccolo contadino Franco, proprietario di pochi terreni attorno a Gradišče, un castelliere sovrastante la cittadina; la zona è il Litorale, già austriaco e dopo la Prima Guerra Mondiale annesso al Regno d’Italia. Finita la scuola popolare a Vipava, i diciotto mesi obbligatori di servizio militare, questo laconico giovanotto alto quasi due metri, li prestò a Roma, come granatiere. Persi entrambi i genitori prima della Seconda guerra mondiale, nel 1941 entrò nel Movimento di Liberazione Nazionale sloveno, ignorando la chiamata alle armi dell’Esercito italiano. Audace e inventivo, ben presto fu a capo di una propria Compagnia, tra le tante azioni a cui partecipò, resta epica la Battaglia del Monte Nanos, la cui eco risuonò per tutto il Litorale e segnò l’inizio della lotta di liberazione nazionale sul confine occidentale.

La cerimonia, celebrata ogni anno a Vipava il 18 aprile, nel 2019, per il 77° anniversario, fu particolarmente solenne, con l’Inno Il Litorale si solleva cantato in apertura dal Coro di voci maschili Srečko Kosovel di Ajdovščina, accompagnato dall’orchestra dell’Esercito sloveno e a seguire la commemorazione del comandante Pavel Rušt e dei suoi 54 uomini, circondati sul Monte Nanos a quota 887 da più di ottocento soldati nemici, gli scontri durarono più di nove ore, furono uccisi dieci partigiani, undici furono catturati e nove in seguito fucilati, mentre gli altri riuscirono a sfuggire all’accerchiamento, coperti dalla mitragliatrice manovrata dal comandante Pavel che per quattordici volte respinse gli attacchi, fino all’esaurimento delle munizioni, dopodiché dovette ritirarsi; assieme ai pochi rimasti, trovò rifugio in una grotta. Anche quel rifugio fu scoperto, a lungo Pavel (riportandone ferite profonde alle mani) rispedì al mittente le bombe a mano lanciate dai fascisti, ma alla fine fu sopraffatto.
Dopo la cattura i sopravvissuti furono trasportati a Roma, a Regina Coeli. Picchiato e torturato, Pavel non rivelò mai nulla, il Tribunale speciale per la difesa dello Stato condannò a morte lui e quindici partigiani del gruppo Fratelli Maslo.

La sentenza fu eseguita nel Forte Bravetta, tristemente nota fabbrica di morte dal fascismo al primo dopoguerra, il 26 giugno 1942 alle 6 del mattino, nove furono uccisi, e sette condannati in contumacia. Sepolto nel cimitero del Verano, Pavel Rušt e le sue gesta restano una leggenda in tutto il Litorale sloveno. Nelle descrizioni delle battaglie cui prese parte Pavel, ho trovato tratti e dettagli che mi hanno riportata al mio testo preferito, Minuetto per chitarra, di Vitomil Zupan (Voland, 2020), l’importanza di raggiungere e difendere la vetta, le bombe a mano restituite a chi le ha lanciate, la grotta rifugio, gli attacchi respinti, il disperdersi e il ritrovarsi dei combattenti, la volontà di proteggere i feriti, non importa se a rischio della propria vita. I nomi di Pavel e dei suoi partigiani, uccisi all’alba di quel 26 giugno 1942, nel sito dell’ANPI su Forte Bravetta non sono citati, ci sono rimasta un po’ male.