Intervista a Bruno Osimo

Argomento: L'intervista
Pubblicazione: 24 luglio 2014

Nel Manuale di semiotica della traduzione (Revzin, Rozencvejg) si preferisce parlare di «traduzione artistica» invece di «traduzione letteraria» a cui siamo più abituati. Perché questo nome?

Nelle lingue slave esiste la locuzione «traduzione artistica» che si riferisce, come è facilmente intuibile senza conoscenze particolari, alla traduzione di opere d'arte (poesia, narrativa, saggistica d'autore). A volte i traduttori dal russo "normalizzano" la locuzione e la chiamano «traduzione letteraria», il che ha il vantaggio di essere immediatamente riconoscibile, ma anche lo svantaggio di generare (o forse confermare) una confusione fra traduzione artistica e traduzione editoriale non artistica. In italiano «letterario» in questo contesto spesso significa «editoriale», prescindendo dal tipo di testo. Forse è preso troppo alla lettera «il medium è il messaggio»; se traduco un libro, poniamo, sulla qualità totale per un editore, il testo resta settoriale e non artistico. Diciamo che ho approfittato della categoria offerta dalla linguacultura russa per fare una proposta linguoculturale agli italiani. Chi ha orecchie per intendere intenda... e mi dica cosa ne pensa.

Gli autori bandiscono l’uso del dizionario bilingue. Come si insegna a uno studente a risolvere il problema della mancanza di un traducente diretto?

Dipende da qual è la fase di studio in cui si ha a che fare con lo studente. Se lo si trova alle prime armi, glielo si spiega subito che i traducenti diretti non esistono; se invece qualcuno gli ha già insegnato che esistono è più complicato. Nei miei laboratori di traduzione, il 75% degli errori dei miei studenti sono imputabili alla consultazione di dizionari bilingui. Basta farglielo notare perché si spostino rapidamente verso pratiche diverse, come la consultazione di corpora, in primis internet. Avere tanti significati contestuali (sensi) è il modo migliore per farsi un'idea del significato generale, che in linea di principio in quanto tale non esiste, come diceva Berkeley già 304 anni fa: «a word becomes general by being made the sign, not of an abstract general idea, but of several particular ideas, any one of which it indifferently suggests to the mind».

Chi sono i destinatari di questo saggio?

I colleghi traduttori, soprattutto quelli a cui sta antipatica la "teoria", perché è molto pratico, con esempi da varie lingue. Non certo gli accademici, che hanno avuto mezzo secolo per accorgersi che questo libro esiste (non hanno l’enorme fortuna di essere pagati per studiare?), e non hanno reagito in alcun modo (non voglio pensare che tra gli accademici nel campo delle scienze umane non ce ne sia nemmeno uno che sa il russo). Tutti quelli a cui sta a cuore la comunicazione, la differenza tra le culture, i modi per confrontarle.

Può elencarci cinque trappole che il traduttore deve evitare per una traduzione corretta?

1. Ignorare di che tipo è il destinatario della traduzione;
2. ignorare lo scopo di quella specifica traduzione, e quindi quali aspetti del testo sono fondamentali perché messaggio e destinatario raggiungano il climax;
3. tradurre senza capire i dettagli – oggettuali, non solo linguistici – di ciò che legge;
4. alzare il registro per uniformarlo al famigerato "registro dello scritto";
5. il «terrore semantico» sintetizzato da Italo Calvino: evitare le parole semplici quando servono: dire, fare, parlare, rispondere, cosa, pane, uomo, donna (di solito evitate a vantaggio di proferire, effettuare, dichiarare, replicare, oggetto, prodotto di panificazione, individuo, bel sesso).

Alla Civica di Milano, la scuola dove lei insegna, gli studenti sono privilegiati perché tutti i docenti sono dei traduttori. Dovrebbe essere sempre così, non crede?

Sarebbe bello che anche all'università si reclutassero le persone non in base a ottusi "settori disciplinari", dove la traduzione DA e la traduzione VERSO sono confuse tra loro e confuse con la lingua eccetera, ma in base alle effettive esigenze. Da noi ogni studente per ogni lingua per ogni anno ha 8 docenti diversi, perché per ogni lingua ci sono 8 materie diverse.

Un traduttore-scrittore ha una marcia in più rispetto al traduttore tout court oppure rischia di sovrapporsi all’autore del testo fonte?

Tutti i traduttori sono scrittori. Il rischio di sovrapporsi all’autore del testo fonte è una certezza, per tutti. Nel libro di Popovič sulla traduzione (Hoepli) c'è un intero capitolo dedicato alla spesso ignorata poetica del traduttore. Non credo che aver pubblicato narrativa o poesia in proprio cambi nulla, in senso tecnico: cambia invece in senso sociale, ma solo perché il nostro estremo provincialismo dei dottori e dei commendatori e dei ragionieri non ci permette di dare il giusto valore e il giusto status sociale ai traduttori, che ne hanno diritto in quanto tali, senza doversi fregiare di ulteriori titoli.

Lei è anche scrittore, ha sempre sentito la necessità di scrivere oppure è una questione più recente?

Per i primi 30 anni di attività come traduttore non ho scritto nulla di mio tranne poesie, e anche queste rigorosamente solo per il mio cassetto. Solo a cinquant'anni ho avuto voglia di provare a scrivere in proprio. Senza l’esperienza del duro faccia a faccia quotidiano col testo delle traduzioni non sarei mai riuscito a scrivere. Scrivere è una traduzione nella quale l’originale è dentro di te: per questo ti si perdona di più la creatività, che, come sostiene Ludskanov, è intrinseca all’atto traduttivo di qualsiasi tipo.