Nata a Siena, Patrizia Raveggi si è laureata alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Residente a Roma e temporaneamente in Slovenia. Già diplomatico dell'Area della Promozione culturale del Ministero degli Affari Esteri italiano, consigliere culturale e direttore di Istituti italiani di cultura all'estero, traduce e cura testi letterari classici, moderni e contemporanei dallo sloveno e dall'inglese.
Buongiorno Patrizia, come hai scelto di imparare la lingua slovena e a tradurne la sua letteratura?
Buongiorno Dori, una questione di sopravvivenza, per cantarla con Gino Paoli; all’epoca vivere in Slovenia non sapendo né il tedesco né lo sloveno poteva rendere agra la vita, lassù. Il tradurre è passato a poco a poco da esercitazione nel laboratorio linguistico, a pratica sulle opere di consultazione, guide turistiche, manuali e opere storico-geografiche, fino alla prassi di riscrittura di opere letterarie come al liceo. In un certo senso, non facevo che continuare le ore scolastiche di greco e latino del mio Liceo Classico Enea Silvio Piccolomini. Non a caso, Piccolomini prima di essere eletto Papa Pio II, fu vescovo di Trieste, consacrò numerose chiese sul territorio sloveno e ispirò a Alojz Rebula il suo ultimo romanzo, su cosa significa essere sloveni e minoranza in una problematica area di confine. Mi è capitato di pensare che ci sia stata una circolarità in tutto ciò, un inconsapevole ripercorrere le orme dell’umanista rinascimentale da Siena verso il verde esilio sloveno.
Che posto occupa a tuo parere la narrativa slovena in Italia?
A quanto posso percepire, alcuni autori come Slavoj Zižek e Boris Pahor sono noti a un pubblico molto vasto. I classici come Ivan Cankar, France Prešeren e pochi altri sono noti agli studiosi di letterature slave e ai lettori colti. I moderni e contemporanei a una cerchia difficilmente quantificabile di lettori onnivori, curiosi e vivaci. Negli ultimi dieci anni o giù di lì, anche le traduzioni di autori moderni e contemporanei sono aumentate, pur non raggiungendo il numero di autori italiani tradotti in sloveno. Ho letto da qualche parte che sono stati ben dodici i traduttori che hanno affrontato in tempi diversi la Divina Commedia di Dante Alighieri. Si lamenta tuttavia che né l’Orlando Furioso né la Gerusalemme Liberata abbiano trovato una traduzione in sloveno. Non è questo il luogo per elencare tutti coloro che operano nel settore della interculturalità, nessun elenco potrebbe essere esaustivo, tuttavia tra coloro che si sono teoricamente e fattivamente occupati della questione “traduzioni letterarie italo-slovene e viceversa”, è d’uopo menzionare Martina Ožbot che da anni esamina e analizza nei due sensi e a livello accademico il fenomeno traduttorio italo-sloveno, in particolare per i problemi di asimmetria (traduzione di opere di letteratura slovena per i lettori italiani); Miran Košuta, docente universitario, pubblicista e conferenziere, funge da intermediario tra il pubblico italiano e la letteratura slovena; Marjan Brecelj, autore di Quattro secoli e mezzo di traduzioni di opere italiane in sloveno (Štiri stoletja in pol prevajanja italijanskih del v slovenščino); la pubblicista e traduttrice Jolka Milič da sempre attiva e infaticabile tramite tra le due letterature; l’editore e scrittore Marko Kravos che in apertura della Fiera del Libro di Lubiana 2019 ha ricevuto il prestigioso Premio Schwentner.
Le opere tradotte in italiano sono rappresentative degli autori contemporanei di oggi pubblicati dagli editori sloveni?
Non è il caso di sottolineare come in Friuli Venezia Giulia siano numerose le Case Editrici che pubblicano autori contemporanei sloveni e molte si adoperano in tal senso con cognizione di fatto della letteratura slovena classica e contemporanea; negli ultimi anni, anche case editrici senza legami né logistici né di altro tipo con la Slovenia fanno sporadicamente uscire un libro, un romanzo, un saggio, delle raccolte poetiche, ma non sempre è chiaro se, in alcuni casi, la decisione di pubblicare un autore sloveno sia qualitativamente e conoscitivamente ragionata oppure dettata da esigenze di mercato, dall’estro del momento e/o dall’intuizione di un bibliofilo di genio. A una possibile e auspicabile oculata continuità programmatica della diffusione in Italia di una accorta scelta di opere di letteratura slovena provvede invece per esempio la Voland, che già da anni guarda dalla Capitale verso l’Est europeo, con scelte mirate e sempre di altissima qualità.
Che posto occupa l'insegnamento di questa lingua in Italia?
Non è competitivo rispetto agli insegnamenti tradizionalmente più gettonati, e nemmeno rispetto a quello di lingua e cultura russa (per es.), tuttavia si è rilevato un aumento di interesse negli ultimi anni. Viene impartito in varie università italiane come Roma, Padova, Trieste, Bergamo e Napoli. Per quanto riguarda l’insegnamento della lingua e letteratura slovena nelle scuole delle aree bilingui, è in vigore una normativa regolata da leggi dello Stato.
Quali difficoltà incontri nel tuo mestiere di traduttrice dallo sloveno? Sono gli editori che ti contattano oppure è più semplice trovare un editore interessato agli autori sloveni?
Come dicevo sopra, ci sono Case Editrici che svolgono in proprio un accurato lavoro di ricerca letteraria e affrontano il rischio di proporre nomi nuovi. Ciononostante, ogni anno il traduttore editoriale free-lance, redige e propone a molti editori un buon numero di schede di lettura. Un’attività priva non dico di risultato, ma spesso di un riscontro qualsiasi. Trovo che questo fervore propositivo sistematicamente destinato alla frustrazione possa amareggiare e mettere in difficoltà soprattutto coloro che del lavoro traduttorio fanno la loro primaria fonte di introito.
L’elemento politico è spesso presente nelle letterature balcaniche, quali altri aspetti pensi che siano riconoscibili e da valorizzare negli autori di questa area geografica?
Il ruolo dell’individuo nei drammatici eventi storici che ruotano attorno a quel confine orientale “in cui per secoli si sono intrecciate e sovrapposte molteplici frontiere, di natura politica, culturale, religiosa e infine nazionale” , e nell’area che oggi si chiama della ex Jugoslavia, durante e dopo gli sconvolgimenti dell’ultimo decennio del XX secolo, la rappresentazione della difficoltà per una società conservatrice e perbenista di tollerare il diverso, il divario città campagna, i nuovi potenti e i nuovi ricchi, i loro giochi di potere, la inevitabilità e il dolore dell’esilio, molti di questi libri sono in tutto o in parte autobiografici, molti li dobbiamo alla penna di potenti narratrici, i Balcani pullulano di letteratura, dalla Grecia alla Serbia, Bosnia, Croazia, Macedonia, Montenegro… la voglia di dire è pari alle passate catastrofi e allo stato spesso miserevole del presente; l’empireo dei classici (Danilo Kiš, Alexandar Tišma, Predrag Matvejević, Miljenko Jergović…etc), si arricchisce continuamente di grandi e imperdibili autori, che per fortuna hanno trovato ascolto presso molte case editrici italiane.
Una delle tue traduzioni più recenti è Minuetto per chitarra di Vitomil Zupan (Voland, 2019), un librone di circa 500 pagine, cosa provi dopo questo lungo lavoro? Pensi di essere riuscita a rispettare il più possibile il testo oppure ci sono dei compromessi di cui tenere conto tra la lingua slovena e quella italiana?
Zupan sceglie con precisione ossessiva “misura e colore” delle parole, per esprimere quello che gli preme esprimere in termini esatti, non casuali, che si tratti di pagine di meditazione filosofica o di momenti colloquiali. Alle variazioni di registro si alternano intermezzi lirici ovvero di prosa in versi, con rime, assonanze, allitterazioni, omoteleuti. Di conseguenza, si è cercato di assecondare, per quanto possibile, la tensione espressiva del dettato, di non appiattire a linguaggio standard le costruzioni sintattiche, le espressioni, i termini che l’autore ha voluti tali e non altri. Tenendo presente che Zupan è un ingegnere, esercitato alla precisione, all’esattezza scientifica, che anche per lui, come fu per Gadda, la scrittura è un possibile tramite di conoscenza (di smascheramento) della realtà: una realtà complessa e non riducibile a razionalità, frammentata, caotica, esprimibile in un eloquio frammentato, al quale lo scrittore imprime a proprio sigillo “tecnico” una controllata mescidanza di registri espressivi e linguistici.
Come si può definire lo stile di questo autore?
In Minuetto (e nelle altre sue opere postbelliche) lo stile di Zupan si colloca nel flusso narrativo europeo, i cui personaggi “antieroi”, tra nihilismo esistenziale e vitalismo, rispecchiano con varie sfumature le problematicità del mondo contemporaneo. Le storie del passato al tempo stesso sono anche e sempre una riflessione su come sono nate queste storie, la scrittura si mescola al commento sulla scrittura, l’abbandonarsi alla creatività si rovescia spesso nel dubbio sulla creatività stessa, mentre il riflettore della memoria viene puntato sulla vita umana e sulla vita e (im)potenza della letteratura. “L’importante è raggiungere la vetta”: il motto con cui inizia la narrazione e a più riprese la scandisce con funzione apotropaica, è (inconsapevole?) epitome di una urgenza stilistica e parte fondante di essa. Raggiungere la vetta, riuscire, avere successo nell’azione è molto importante e tuttavia in un susseguirsi di infiniti progressivi cerchi di riflessione e sviluppo interiore il soggetto letterario giunge a concludere che importante è il cammino, non la meta, la meta si sposta come il sole al tramonto. Con ciò, le più volte individuate movenze picaresche del torrenziale narrare di Zupan si temperano e dissolvono nelle pause meditative, nelle riflessioni sulla vita e sul senso di essa. La concezione della circolarità del tempo e dello spazio, centrale alla visione filosofica di Zupan , informa la struttura di Minuetto, e si proietta sugli affreschi della guerriglia, i partigiani marciano in gironi infernali come i dannati nell’inferno di Dante (MPC 335 Dante cammina con Virgilio per il Purgatorio e per l’Inferno, le anime dei trapassati sono sedute o distese in cerchi. Noi ci muoviamo in cerchi). Minuetto si può situare nel genere romanzo storico/romanzo di guerra, è lo stesso Zupan del resto a fornire indicazioni sugli autori che sentiva più vicini e ispiratori: oltre a Machiavelli, cui si sentiva accomunato da un destino di fama eterna e condanna alla proscrizione, lo Hemingway di Per chi suona la campana? e di Addio alle armi, il Sartre de La nausea, il Voltaire del Dizionario filosofico, l'Henry Miller di Nexus, il Louis Ferdinand Céline di Viaggio al termine della notte. Alcuni critici, recensendo il romanzo in versione italiana, lo hanno avvicinato a Comma 22 e a Il buon soldato Sc’vèik. Concludendo: forse lo stile di Zupan si potrebbe definire realistico, ma solo se ci intendiamo prima sul significato da dare al termine: realismo come opposizione alla standardizzazione di sentimenti e valori, rifiuto dei cliché collaudati, rottura di codici e schemi retorici e linguistici, rovesciamento di stereotipi, fremito e tremore nell’insana ὕβϱις di riprodurre la realtà con un mezzo tanto inadeguato, la scrittura.
Se potessi cambiare qualcosa del tuo mestiere di traduttrice, da cosa comincerebbe la tua rivoluzione?
La vera rivoluzione sarebbe se cominciassi a esercitarlo come si esercita un mestiere! Non l’ho mai considerato sotto questa luce, e a quanto vedo, sempre meno mi sembra tale. Se permetti, mi appello a una autorità: Primo Levi, definiva «invasioni di campo» e bracconaggio in distretti di caccia riservata, le proprie scorrerie negli sterminati territori della conoscenza che lo portavano poi a prodursi in estemporanee “incursioni negli altrui mestieri”. Queste mie versioni dallo sloveno all’italiano di opere letterarie slovene, non sono il prodotto di una quotidianità, di un saper fare individuale a lungo coltivato, nobili requisiti del mestiere, piuttosto hanno il carattere di scorribande nei pascoli della narrativa, dettate da amore per la letteratura, dal desiderio di far conoscere la letteratura slovena in Italia, dal gusto della sfida nel trapiantare in un’altra lingua una compiuta espressione artistica. Per coloro invece che esercitano il tradurre come un vero mestiere, penso che tutto il mondo del libro dovrebbe godere di maggiore attenzione e protezione, sia i piccoli e medi editori, esposti a tutti i venti delle crisi economiche e costantemente a rischio chiusura, sia i traduttori, le cui competenze cominciano sì a trovare un apprezzamento che un tempo era inimmaginabile e tuttavia rimangono sottopagati e non protetti dal punto di vista lavorativo.