Davide Rubini, Torino, 1979. Vive a Londra dove lavora come esperto di regolazione europea del mercato del gas naturale. È il papà di Kaia. In passato ha pubblicato a quattro mani con Alessandro Fusacchia Niente di personale, Biliki (romanzo) e Avvistamento di pesci rossi in Danimarca, Biliki (romanzo). Poi Un dio di polvere, B&V Editori (romanzo), Dicono le cicogne, B&V Editori (romanzo), Parentesi, B&V Editori (racconti). È tra i fondatori di RENA. Con il suo nuovo romanzo Il fischio finale è stato nella prima selezione al Premio Strega 2016.
Ciao Davide, con il tuo nuovo romanzo Il fischio finale (Gilgamesh, 2016), sei nella prima selezione al 70° Premio Strega. Gli altri tuoi romanzi, Niente di personale (a quattro mani, con Alessandro Fusacchia), Biliki, Avvistamento di pesci rossi in Danimarca (sempre con Alessandro Fusacchia), Biliki, Un dio di polvere, B&V Editori, Dicono le cicogne, B&V Editori. Sei un autore ancora piuttosto sconosciuto. Come mai?
Posso dire che è difficile emergere nell’industria editoriale. Devo ancora lavorare molto. Credo che sia importante impegnarsi e continuare a crescere come artista, come professionista, come persona, ed è necessario lavorare duro e chiedersi cosa bisogna fare per diventare migliore. Certo, oggi per uno scrittore è inevitabile curare le «pubbliche relazioni», ma riuscire a emergere non deve diventare un’ossessione, né un cruccio.
Sei tra i fondatori del progetto RENA. Puoi presentarci in breve questo progetto?
RENA è stata per molto tempo al centro delle mie giornate. Ogni momento libero era speso per lavorare a un’iniziativa, migliorare il sito, scrivere un articolo, contattare un fornitore, tutto per contribuire a rendere possibile il sogno di un’azione genuina di buon governo al servizio di tutti e ispirata da un sistema etico, di valore chiaro e preciso.
Oggi il mio impegno in RENA si è notevolmente ridotto perché un’organizzazione sana ha bisogno di una leadership variabile e plurale, ma l’associazione continua a fare il suo lavoro, cioè dimostrare che esiste uno spazio di gestione del cambiamento nel nostro Paese che può e deve essere presidiato da soggetti della società civile, non quella che si trasforma in partito, ma quella vera.
Il mio romanzo in gara al Premio Strega, Il fischio finale, è stato il tentativo di unire la passione civica che mi porto dentro fin da ragazzino alla mia passione per la scrittura. Dopo diversi romanzi con storie ambientate in paesi stranieri, Belgio, Danimarca, Messico, Polonia, dove ho vissuto per lavoro, ho voluto scrivere una storia che parlasse degli italiani e pertanto il calcio e la politica locale mi sono sembrati un connubio inevitabile, metafore intercambiabili perfette per descrivere il rapporto che gli italiani hanno con la cosa pubblica e di conseguenza con sé stessi.
Passare da qui a immaginare una storia che si svolge all’indomani di Tangentopoli è stato un passo breve e facile.
Il fischio finale è un racconto sull’Italia e sugli italiani?
Diciamo che è un tentativo di raccontare l’Italia e gli italiani con una storia semplice, accattivante, divertente e amara a un tempo. Brando Adelmi, Ugo Carminati, il Presidente Saronno e anche Denise Santeramo e tutti gli altri personaggi del romanzo, undici, come i componenti di una squadra di calcio, mi suscitano le stesse sensazioni che provo quando penso all’Italia e agli italiani. Sono tutti persone decisamente in gamba, ma anche tristemente ripiegate su se stesse, concentrate a usare male le proprie energie, convinte che alla fine il sotterfugio e l’inganno pagano più dell’impegno genuino e della trasparenza. Permettimi di generalizzare e di semplificare, altrimenti è difficile spiegare quello che ho in testa.
Ma se davvero Il fischio finale è un romanzo nutrito da una vocazione di impegno civico l’avventura non può fermarsi qui. Ci sono degli sviluppi?
L’avventura non si ferma qui. Ho cominciato una collaborazione con www.TellHistory.com, una start up tedesca che ha messo in piedi una piattaforma per raccogliere le video testimonianze sui ricordi legati a particolari momenti storici. I fondatori di TellHistory mi hanno chiesto di mettere insieme il loro primo capitolo italiano: una rassegna di impressioni sugli anni che hanno seguito Tangentopoli per arrivare fino al biennio 1994-1995 in cui si svolge la trama del romanzo Il fischio finale.
Ne sta venendo fuori il primo archivio di ricordi su quegli anni di storia italiana, un tesoro che spero possa servire a prendere consapevolezza di tutto quello che in quegli anni poteva cambiare e purtroppo non è cambiato.
E poi?
Sono convinto che per riuscire a raccontare bene una storia bisogna andare oltre al romanzo, o al film o all’archivio. Bisogna fare tutto questo e anche di più, sovrapporre tutte le modalità narrative e espressive possibili.
In un mondo che va sempre più veloce e si muove sulla base delle emozioni più che dei sentimenti, delle impressioni più che delle idee, trovo che sia questo il cuore di una nuova e efficace modalità di storytelling. Come già altri stanno facendo.
Un esempio ne è La corrispondenza di Tornatore. Dopo averne scritto il film in inglese ha sentito il bisogno di rivivere la stessa storia scrivendone il romanzo in italiano. Ma anche il Museo dell’Innocenza di Pamuk, romanzo che l’autore sta adattando al film… sono tentativi di abbracciare la realtà attaccandola da più fronti, per aggiungere contenuto al contenuto.
Quindi dopo l’archivio TellHistory quale sarà il tuo supporto per aumentare il contenuto del romanzo?
Dopo l’archivio di TellHistory vorrei sperimentare il documentario e riuscire a andare oltre le imperfezioni de Il fischio finale e concentrarmi sulla storia che il romanzo contiene, tra cui scatti degli anni tra il 1992 e il 1995.
Tanti auguri, allora, per questa tua avventura