Silent book

Argomento: Intraducibili
Autore: Dori Agrosì
Pubblicazione: 6 agosto 2025

Un testo è per forza di cose un viaggio immaginario, permette sin dalla prima frase se non addirittura dalla prima parola di accendere la fantasia.

Al contrario, un libro senza testo ma con immagini diventa un album illustrato o silent book, si apre a molteplici interpretazioni già al primo sguardo. Sì, è proprio al primo sguardo che risiede la forza dell’arte, il talento di un artista, la sua capacità di esprimersi e calibrare l’effetto della sua opera sulla percezione dello spettatore. Questa è la magia di un silent book, a patto che non ci sia alcun testo, semmai qualche didascalia scarna.

In entrambi i casi, il libro rimane un supporto meraviglioso, declinabile in mille modi. Potenzialmente rivolto ai giovanissimi a scopo pedagogico, ricreativo, didattico, il silent book ha il suo mercato di grande valore artistico anche per i grandi.

Se posso fare un esempio, ne farò uno molto rappresentativo per me. Avevo comprato per curiosità un piccolo album, attratta dalle illustrazioni. Smoke, di John Berger, a quanto pare grande fumatore; un librino di appena 48 pagine, di grammatura leggermente cartonata per dare ragione alle belle illustrazioni a matita dell’artista turco Selçuk Demirel, suo amico e collaboratore, interprete delle didascalie di Berger (Il Saggiatore, 2016). Non propriamente silent perché c’è un minimo di testo a orientare il lettore, nell’indispensabile traduzione di Maria Nadotti. Comincia con uno sguardo benevolo se non addirittura nostalgico sul passato, attraversa viaggi, riunioni di lavoro e di famiglia, e approda nel presente. È di diversi anni fa, eppure mi capita ancora di sfogliarlo nel reparto «opere di consultazione», esattamente un po’ in giro per casa. Questo libro stacca sorrisi, consensi, riflessioni, in poche pagine l’autore esprime il suo punto di vista sul progresso, sui diritti, sui divieti, sulla spontaneità dell’amicizia, sulla convivialità, sulla storia. Da come eravamo a come siamo. Se eravamo più indulgenti prima, se siamo più politically correct adesso. Le illustrazioni dallo stile poetico concedono lunghe soste su ogni pagina. È un volumetto da gustare, mi ritrovo sempre a sfogliarlo con lentezza. Alle immagini di Smoke e alle didascalie dell’autore collego sempre un articolo di altrettanto tempo fa, uscito su The New Yorker, My life in smoke, di Garnett Kilberg Cohen. Il collegamento tra questi due capolavori è incredibile, di certo per il tratto personale e giocoso.

Lo stesso accade durante una mostra, rimaniamo più a lungo di fronte a un quadro che ci cattura. Poi proseguiamo lungo il percorso espositivo prendendo confidenza con l’immaginario poetico mentre scopriamo tela dopo tela la creatività, la particolarità, l’efficacia dell’artista.

Un silent book può essere anche e banalmente un album di fotografie, per esempio un album di famiglia. Forse adesso meno di moda, ma provate a sfogliarne uno tra quelli dei parenti, è un’esperienza patinata piacevole. Una volta ne avevamo tanti e tuttavia eravamo meno sommersi dalle immagini. Le fotografie erano preziose, avevano un valore unico, ricercato. Il fotografo lavorava in analogico, con l’artigianalità del cartaceo era un mestiere tattile. Oggi, è un mestiere totalmente digitale, portato a livelli esponenziali di sincerità e di alterazione.

Con i silent book siamo noi a interpretare le immagini, eventualmente a crearne il testo. Le immagini bussano alle nostre emozioni, aprono le porte a storie, personaggi, forme e colori vibranti, offrono riflessioni a ogni generazione e ogni pagina è una promessa di sogno.