Depeche Mode

Argomento: Est
Autore: Serhij Zhadan / editore: Castelvecchi, 2009
Pubblicazione: 1 aprile 2009
Depeche Mode, romanzo del giovane ucraino Serhij Zhadan, classe 1974, edito da Castelvecchi, ci porta a Charkiv, dove lo scrittore e poeta vive. Charkiv è la seconda città dell’Ucraina, un tempo importante centro industriale. Non può vantare la storia millenaria della capitale, dove venne celebrato il battesimo della Rus’ nel 988, e nemmeno l’incredibile avvicendarsi di dominazioni del XX secolo della Galizia e di Leopoli (con una lunga appartenenza all’Impero asburgico fino al 1914), entrate a far parte stabilmente dell’Unione sovietica solo dall’inizio del ’44. Charkiv fu la prima capitale dell’Ucraina sovietica, prima che il trattato di Riga del ’21 stabilizzasse la linea di confine tra Polonia e Unione Sovietica (la capitale allora venne spostata a Kyjiv). Questa lunga premessa storica è indispensabile per inquadrare l’opera di Zhadan, perché il vero protagonista del romanzo sembra essere proprio la città, che, proprio negli anni in cui è ambientato il romanzo, stava attraversando uno dei periodi più oscuri e grigi della sua non lunga storia. L’ambientazione di Depeche Mode è cronologicamente molto dettagliata: il romanzo è ambientato nel ’93 e racconta gli eventi di poco meno di 48 ore a partire da giovedì 17 giugno alle ore 16.50. I primi anni ’90 in Ucraina furono, per chi li ha conosciuti, sicuramente un periodo da dimenticare, ma forse non è così per chi, come l’autore, aveva 19 anni allora. Difficilmente il lettore italiano potrebbe immaginare il degrado, la tristezza e la miseria degli anni che seguirono la proclamazione dell’Indipendenza dell’Ucraina nel ’91. Nel ’93 l’Ucraina era in pieno marasma: l’economia andava a rotoli, le fabbriche venivano saccheggiate e poi cadevano a pezzi, gli stipendi non venivano pagati regolarmente, la corrente elettrica veniva frequentemente a mancare, nei negozi cominciavano a comparire le merci ma a prezzi proibitivi per la maggior parte dei cittadini. Tradurre questo romanzo ha significato prima di tutto immergersi nel contesto geo-storico: una periferia del mondo conosciuto che vive un’infinita transizione da un periodo storico non del tutto concluso a un altro periodo storico non ancora cominciato. In questo guado insidioso vivono i personaggi del romanzo insieme al protagonista, voce narrante che guida il lettore nelle viscere del grande agglomerato urbano fatto di stazioni ferroviarie maleodoranti, di enormi campi nomadi, di fabbriche dismesse. Anche la lingua dei personaggi risente ovviamente del contesto di degrado, nel quale tutto appare contaminato, dal territorio urbano, disseminato di carcasse industriali, fino alla lingua, che inevitabilmente rispecchia quel peculiare gergo parlato nelle periferie delle grandi città dell’Ucraina orientale, il cosiddetto Suržik, ovvero il Sovremennik ukrainsko-russkyj žargon (gergo contemporaneo ucraino-russo), che i puristi e i filologi ucraini stigmatizzano con tutte le loro forze. Avendo vissuto in prima persona gli ultimi spasimi dell’Impero sovietico e i primi difficilissimi anni dell’Ucraina indipendente, non è stato particolarmente difficile comprendere questo contesto. Tuttavia qualche resistenza l’hanno offerta le espressioni del gergo giovanile e i volgarismi colloquiali, e nel romanzo ricorrono in continuazione. Una buona parte del libro è un resoconto puntuale, quasi stenografico, dei dialoghi del gruppo di ragazzi che mentre trascorrono le loro giornate tra bevute e fumate di marijuana, disquisiscono sui massimi sistemi, sulle surreali utopie di lontana, e improbabile, derivazione socialista e raccontano le loro incredibili avventure erotiche. Tradurre Depeche Mode è stato utile anche per me per comprendere un po’ meglio un paese pieno di contraddizioni e stratificazioni. In particolare, per conoscere meglio l’Ucraina orientale, ovvero quella parte del paese nella quale la collettivizzazione forzata e il holodomor (carestia pianificata da Stalin nel ’32 e nel’33) hanno modificato in modo sostanziale il paesaggio umano e urbano rendendolo un paese a immagine e somiglianza dell’homo sovieticus.