In che modo ci si può approcciare alla traduzione del primo albo scritto e illustrato da una giovanissima autrice portoghese di sicuro talento, che dopo aver conseguito una laurea in Fisica e iniziato un master in Matematica «nel tentativo di comprendere tutto» si è poi invece accorta, per sua stessa ammissione, che era proprio attraverso il disegno e la scrittura che riusciva a capire meglio il mondo? E che per la sua opera d'esordio ha scelto un tema quantomai complesso e purtroppo (e fin troppo) attuale, ovvero quello dei conflitti, delle guerre, delle incomprensioni, dell'umana difficoltà a confrontarsi, dialogare, capirsi, e del conseguente ricorso alla terribile voce delle armi per risolvere ciò che (apparentemente) non si riesce a risolvere in altra maniera? E cosa ancor più difficile, come portare tutti questi complicatissimi temi – cui gli adulti non sono ancora stati capaci di trovare una soluzione – ad altezza di bambino, pubblico a cui gli albi sono per loro natura dedicati? (Anche se non solo a loro in realtà si rivolgono, ed esempio lampante ne è proprio Il duello). Come essere insomma certi di utilizzare un linguaggio che anche i più piccoli fossero in grado di capire, su argomenti di questo calibro?
Mi sono posto queste domande quando mi sono trovato per la prima volta fra le mani l'incredibile albo a cui questa giovane lusitana, al secolo Inês Viegas Oliveira, classe '95 da Tavira, cittadina dell'Algarve affacciata sull’oceano, ha saputo dar vita. Un albo che, proprio come fanno gli ottimi esemplari di questa particolare tipologia di libri, «parla» e arriva forte a chi lo sfoglia fin da subito, fin dai risguardi, ben prima insomma che cominci il testo vero e proprio. Mi sono posto queste domande e, ancor prima di darmi una risposta, mi sono accorto di essere in realtà già partito per il viaggio – inarrestabile e imprevedibile – che questo albo racconta. Non mi restava che procedere, dunque, in compagnia dell’autrice e dell’anonimo protagonista della storia.
Un viaggio che per me è stato indimenticabile, come sono certo lo sia e lo sarà per i lettori – piccoli e grandi – che hanno e avranno la fortuna di imbattersi in questo che mi azzardo a definire un «gioiello», ancor più prezioso in questi nostri tempi battuti da venti di guerra.
Un viaggio che parte in un paese lontano, antico e freddo, e che lo fa nel peggiore dei modi: due uomini si trovano schiena contro schiena, ognuno un'arma in mano, pronti a percorrere cento passi in direzione opposta prima di girarsi e far fuoco verso l'altro. Un duello in piena regola, insomma, proprio come da titolo. Non chissà quale viaggio, dunque, sembrerebbe, piuttosto un breve tragitto destinato a finire in poco tempo e male, quantomeno per uno dei due contendenti. Quel poco tempo a disposizione, però, è sufficiente a uno dei duellanti – e precisamente a quello che avanza verso destra – per iniziare a ragionare fra sé, come a volersi a tutti i costi ricordare, a volersi convincere, che ciò che lo ha condotto fin lì, l'affronto subìto (del quale non si sa e non si saprà mai nulla), sia stato davvero troppo grave e profondo per poter trovare una soluzione alternativa allo scontro.
Dal suo sfidante – di cui invece conosciamo il nome, ma soltanto quello, Rodin Rostov – abbiamo in risposta solo silenzio: a differenza del primo, di lui non è dato sapere se, e cosa, pensi durante la sua fatidica marcia. Semplicemente si allontana nella sua direzione, muove i passi stabiliti e, al momento di voltarsi per la resa dei conti, ecco il primo colpo di scena, per lui e per i lettori: davanti a sé trova il vuoto, non c'è più nessuno, il «nostro» è sparito.
In realtà proprio sparito non è, soltanto che non si è fermato (dove avrebbe dovuto?) per continuare invece ad avanzare imperterrito, dritto, sempre dritto, ancora dritto. Verso dove? E perché mai? Il lettore non può far altro che seguirlo, passo dopo passo, pagina dopo pagina. Man mano che avanza, intorno a lui cambia tutto. Il bianco delle tavole iniziali (la neve, il silenzio) lascia il posto a un'esplosione di colori. E in questo indecifrabile, tormentato cammino, insieme allo scenario inizia a cambiare – cosa che più ci interessa in questa sede – anche il testo. Il tono. Le parole. Il linguaggio, che da gelido e formale arriva alla fine del libro a farsi caldo, fraterno, consolatorio.
Il nostro duellante pentito, o forse soltanto distratto, prosegue ostinato non solo nei suoi passi, ma pure nei suoi ragionamenti: aveva cominciato le sue elucubrazioni in vista di un duello che non ci sarà mai rivolgendosi direttamente al suo avversario, al suo acerrimo nemico, dandogli del «voi» non senza un certo rispetto e distacco («spettabilissimo signor Rodin Rostov»), ma poi a un certo punto sembra quasi «dimenticare» l’altro per iniziare a ragionare fra sé, ponendosi domande e dando voce ai propri dubbi («le sue gambe saranno forse più lunghe, i suoi stivali più veloci?»), per tornare quindi repentinamente a «parlare» con lui e poi ancora nuovamente di lui ma con sé stesso («forse penserà che mi sono perso, ma come potevo perdermi se non ho fatto altro che camminare dritto?»), in un alternarsi di riflessioni e domande e in un incessante cambio di registro che ha richiesto grande attenzione nella traduzione. La voce è sempre una, la sua, ma a cambiare di continuo è il soggetto a cui si rivolge: ora l’altro, ora sé stesso, ora entrambi.
E mentre intorno a lui tutto continua a trasformarsi e le pagine si riempiono di nuovi elementi e colori, ecco che a un certo punto – siamo già nella seconda parte dall’albo – il passato svanisce, perde come d’interesse, per lasciare spazio al futuro, quello che è stato non importa più rispetto a quello che invece sarà, a quello a cui ci si troverà davanti («le ragioni delle mie intenzioni, caro Rostov, sono svanite strada facendo»), e il nostro protagonista può finalmente aprire gli occhi e vedere tutto quello che di bello succede e fiorisce intorno a lui, intorno a ognuno di noi, se sappiamo guardare. Allora, nel suo linguaggio il «voi» diventa «tu», lo spettabilissimo, imperdonabile autore di chissà quale affronto si trasforma in un amico, in un compagno da perdonare, aspettare e perfino invitare («deponi le armi e vieni a trovarmi una volta»).
È stato tutto questo, tradurre Il duello, una storia per tutte le età composta da molti livelli, un flusso senza sosta e senza un (apparente) filo logico, un’esplorazione in un territorio mutevole e sconosciuto, un intrufolarsi nella mente umana capace prima di odiare senza memoria e poi di dimenticare i motivi dell’odio, un cammino fatto di molti silenzi e poche parole – per cui era necessario trovare quelle giuste. Per riuscire a raccontare a tutti, nel modo più semplice possibile, qualcosa di molto difficile: ed è proprio questo lo straordinario potere che hanno gli albi illustrati.
La sfida – senza armi, per fortuna, nel mio caso – era quella di adattare il linguaggio, il tono del testo, al perpetuo mutare dei sentimenti del nostro personaggio, e di far procedere di pari passo pensieri e parole, fino alla conclusione del suo processo interiore, del suo instancabile tragitto.
Mi ha confidato Inês Viegas Oliveira di essere sempre stata affascinata dalle lettere: ebbene, il suo albo alla fine di questo si tratta (ricordate i risguardi che «parlano»? Non a caso qua rappresentano una busta di carta chiusa, pronta a essere spedita): si tratta ovvero di una lettera indirizzata al proprio (ex) peggior nemico, affidata a uno stormo di colombe bianche.
Una lettera di riconciliazione e di pace, scritta nel nuovo mondo a colori in cui il protagonista finalmente si ferma e dove in mano può tenere una penna invece che un’arma. E anche se non è dato sapere se il signor Rodin Rostov la riceverà mai quella lettera, al numero 17 del luogo molto lontano e molto freddo ove è indirizzata (non c’è un recapito più preciso), e anche se possiamo solo sperare che questo avvenga e che Rostov deciderà di mettersi a sua volta in cammino per raggiungere il suo vecchio rivale, l'auspicio dell'autrice – e del sottoscritto che l'ha tradotto in italiano – è che questo racconto illustrato possa comunque rappresentare «un sussurro di pace rivolto a ogni lettore».
Non sarebbe poco, di questi tempi.