Autore:
Nahal Tajadod / editore: Edizioni e/o, 2014
Pubblicazione:
24 luglio 2014
Il libro nasce dall’intento di offrire, attraverso il racconto di una storia individuale, una lettura profonda della società iraniana.
L’incontro fra l’autrice e la giovane attrice Golshifteh Farahani, entrambe iraniane fuggite in Francia, in periodi diversi ma ugualmente drammatici della storia del loro paese, diventa un romanzo a due voci, in cui passato e presente si mescolano di continuo e dove realtà e finzione si alternano nel confronto di due diverse esperienze di esilio.
Il tema del doppio è senz’altro centrale nel romanzo, declinato secondo diverse angolature. Lo sottolineano in esergo una frase di Ingmar Bergman a proposito del film Persona e il disegno di Marjane Satrapi (autrice di Persepolis) sulla copertina della prima edizione francese: due figure femminili che in parte si sovrappongono e si completano reciprocamente. Per le edizioni successive, insolito caso in cui l’originale si dimostra fedele alla traduzione, la casa editrice Albin Michel, facendo leva sulla crescente notorietà di Golshifteh, ha imitato la scelta della nostra E/O, che ha messo in copertina una bellissima foto dell’attrice.
Nel ricostruire le vicende che hanno portato alla comune messa al bando, Nahal Tajadod tenta di misurare la distanza che separa l’Iran della sua infanzia, trascorsa sotto il regime filo-occidentale dello scià, dall’Iran della protagonista, nata e cresciuta nella Repubblica Islamica degli ayatollah. La ragazza descrive una realtà sconosciuta alla scrittrice, una società in grande fermento culturale e politico ma in cui ognuno è costretto a mentire o a nascondere la verità per sopravvivere alle follie di un potere teocratico e repressivo che arriva a vietare la musica, l’espressione artistica, la libertà personale, in particolare alle donne.
In una società in cui tutti indossano una maschera, la figura dell’attore finisce in un certo senso per rappresentare al meglio l’autenticità dell’individuo. La scelta del titolo per l’edizione italiana ha tenuto conto di questo aspetto. L’italiano non dispone di un unico traducente che potesse rendere la pluralità semantica del titolo originale, Elle joue, felice sintesi del carattere e della storia del personaggio, che soprattutto recita, sul set e nella vita, ma suona anche il pianoforte, ama giocare d’azzardo e in senso lato arriva a mettere in gioco tutto, in cambio della propria libertà.
Dal punto di vista della traduzione, la costante presenza di riferimenti alla lingua e alla cultura persiana ha richiesto un notevole sforzo di precisione, sia nel reperire le fonti citate (come nel caso di un paio di quartine di Khayyam, quasi irriconoscibili nella versione francese, o di alcuni stralci di una poesia di Farrokhzad mai tradotta prima), sia nello scegliere le più plausibili tra le varie denominazioni di istituzioni iraniane che circolano (ad es. Consiglio della Guida suprema, Ministero per l’Orientamento delle scelte di interesse pubblico), sia infine nell’interpretare e trascrivere correttamente le parole in farsi, lingua indoeuropea talvolta accomunata erroneamente all’arabo, da cui ha mutuato il lessico riconducibile all’islam. Fondamentale dunque la gentile consulenza dell’iranista Paola Orsatti.
In generale ha pesato la sensazione di una sorta di responsabilità nei confronti del lettore italiano (che anche grazie a questo libro, nel suo piccolo, ha modo di avvicinare una società molto più ricca e variegata di quella che ci mostrano i media o certi film di parte tipo Argo) e soprattutto nei confronti della cultura iraniana, che merita senz’altro una conoscenza più approfondita. Gli spunti suggeriti nel testo sono davvero tanti: dalla poesia, forma privilegiata di scrittura fino ai primi del Novecento, che pervade la società al punto che le tombe dei poeti classici sono meta di pellegrinaggio popolare, passando per i numerosi scrittori della diaspora, fino al cinema, naturalmente, con registi di fama internazionale come Kiarostami, Panahi, Farhadi e altri ancora.