Katitzi va in città

Argomento: Romanzo
Pubblicazione: 20 agosto 2025

Il mio primo incontro letterario con Katarina Taikon e la sua Katitzi è avvenuto nell’ambito di un seminario di traduzione dallo svedese all’italiano tenuto da Laura Cangemi e finanziato dallo Swedish Literature Exchange e dal FILI. All’epoca ero una traduttrice in erba e Laura propose a me e agli altri partecipanti di fare una scheda di lettura del primo volume, Katitzi, da inviare alla casa editrice Iperborea, che lo stava valutando per la sua collana i Miniborei. Lessi il libro, me ne innamorai, scrissi la scheda di lettura e Iperborea decise di pubblicarlo, affidando la traduzione a me sotto la supervisione di Laura.

È stato uno degli avvii della mia carriera – insieme a Greta Grintosa di Astrid Lindgren, tradotto a più mani sempre per Iperborea nell’ambito del seminario, La casa senza specchi di Mårten Sandén, tradotto per Rizzoli con Laura Cangemi come mentore, e Girls di Jessica Schiefauer, uscito per Feltrinelli nella mia traduzione – e occupa dunque un posto speciale nel mio cuore di traduttrice. Durante la traduzione del primo volume, uscito nel 2018, con Laura ci siamo molto confrontate su come rendere il linguaggio semplice, quasi scarno, ma così potente dell’autrice.

Come molti altri rom della sua generazione, infatti, Katarina Taikon non aveva potuto frequentare la scuola da bambina e imparò a leggere e scrivere solo all’età di ventisei anni in una scuola per adulti. E poi riuscì a realizzare il proprio sogno di diventare scrittrice. Fu proprio quando imparò a leggere che si rese conto di quanti diritti fondamentali venissero negati ai rom, a differenza delle altre minoranze. Decise di dedicarsi anima e corpo all’attivismo. Debuttò nel 1963 con il libro Zingara, e nel giro di una notte divenne la portavoce di tutti i rom della Svezia e si adoperò in ogni modo per far ragionare le istituzioni. Rendendosi conto però che i pregiudizi della maggioranza della popolazione non potevano essere sconfitti se non rivolgendosi alle giovani generazioni, Katarina decise di dedicarsi alla scrittura per ragazzi con la serie di Katitzi.

La storia si dipana nell’arco di tredici libri (di cui Iperborea ha finora pubblicato i primi quattro: Katitzi, Katitzi e il piccolo Swing, Katitzi nella buca dei serpenti e Katitzi va in città, gli ultimi tre tradotti da me), scritti tra il 1969 e il 1980, ambientati in Svezia tra gli anni Trenta e Quaranta e ormai diventati classici che hanno accompagnato per decenni i bambini svedesi. Il lettore segue la piccola protagonista, che di fatto è Katarina stessa con qualche elemento romanzato, nelle sue avventure al campo e in giro per la Svezia dai sette ai sedici anni, scoprendo cosa significava crescere e vivere da rom a quei tempi. I rom erano esclusi dalla società svedese, non era loro permesso di vivere in case, correvano sempre il rischio di essere cacciati e costretti a spostare il proprio campo, non potevano rimanere nello stesso comune per più di tre settimane e i bambini non potevano andare a scuola.

Dopo anni di instancabile attivismo, nel 1982, a neanche cinquant’anni di età, Katarina Taikon ebbe un arresto cardiaco e finì in coma senza più risvegliarsi. La «Martin Luther King della Svezia» si era spenta per sempre, ma i suoi libri continuano a vivere. Seppure gli anni siano passati, questi libri sono di un’attualità disarmante e permettono di comprendere empaticamente la discriminazione attraverso il punto di vista di chi la subisce e vuole raccontarsi per sfuggire agli stereotipi.

Tornando al processo di traduzione, la resa doveva per forza essere altrettanto diretta e potente della lingua dell’autrice, senza cadere nel tranello della levigatura per non tradire lo spirito della protagonista e della scrittrice. Inoltre in tutta la serie sono presenti parole in romanes, che andavano traslitterate nel modo giusto. Le abbiamo potute lasciare, perché spesso è Lena, la sorella di Katitzi, a spiegarne il significato alla protagonista. Katitzi, infatti, era stata data in affidamento a una famiglia circense all’età di cinque anni e, quando tornò al campo dalla sua famiglia, qualche anno dopo, aveva dimenticato il romanes.

Il primo libro inizia quando Katitzi ha sette anni ed è da poco arrivata all’orfanotrofio di Umeå. La vita all’istituto è dura per lei. Il suo temperamento non l’aiuta, e continua a mettersi nei guai. Quando suo padre, Johan Taikon, si presenta all’istituto per riprendersela, inizialmente Katitzi si rifiuta di andare con quello sconosciuto dalla barba lunga. Sarà la dolce signorina Kvist, una delle tutrici dell’orfanotrofio, a convincerla a tornare al campo dalla sua famiglia.

Dopo molte avventure e disavventure, molti spostamenti per il paese e molte difficoltà, la sorella maggiore di Katitzi, Rosa, viene data in sposa e lascia la famiglia. Al campo rimangono Katitzi, Lena, il loro fratello maggiore Paul, il padre, i fratellini e la terribile matrigna. La “signora”, perché così vuole essere chiamata, non è per niente buona con i primi quattro figli del marito, soprattutto con Katitzi e Lena. Le tratta malissimo, e non perde occasione per picchiare Katitzi.

Il quarto libro della serie, intitolato Katitzi va in città, è uscito in Italia quest’anno con il patrocinio di Amnesty International con la seguente motivazione: “Katarina Taikon scelse un’arma formidabile per rivendicare i propri diritti e far conoscere il suo popolo: l’arte del racconto. Attraverso la vita di una bambina rom, le sue pagine parlano di diritti – e violazioni dei diritti – delle persone minorenni, di infanzia libera e dura insieme, di crescita e consapevolezza. Senza perdere mai la leggerezza e il divertimento, questa lettura apre una porta sulla conoscenza, sulla strada verso il rispetto e la dignità.”

In questo volume, la protagonista non ce la fa più a sopportare le angherie della terribile matrigna, soprattutto da quando l’adorata sorella Rosa, che la difendeva, se n’è andata. Katitzi non ci pensa più di tanto: scappa di casa e riesce a raggiungere sua nonna Mamì a Uppsala, nella casa di riposo dove vive. Le disavventure non finiscono lì, ma almeno papà Taikon apre gli occhi su come sua moglie tratta i suoi figli.

Dopo aver tradotto quattro libri di Katitzi, posso dire che confrontarsi con la scrittura di Katarina Taikon e con le sue opere e il suo messaggio è difficile, ma indispensabile e molto arricchente. Il fatto che i suoi libri continueranno a parlare ai bambini e agli adulti, generazione dopo generazione, è una certezza, e comporta una grande responsabilità anche da parte di chi, come me, li trasporta in altre lingue.