Sparire

Argomento: Romanzo
Pubblicazione: 5 marzo 2019

Petra Soukupová è uno dei più brillanti giovani talenti letterari della Repubblica Ceca. Nata nel 1982, ha già al suo attivo tre bei libri che hanno riportato un buon successo in patria: Al mare (2007), il suo esordio letterario, Sparire (2009), vincitore del premio Magnesia Litera nel 2010 e tradotto in varie lingue, e l’ultimo, Marta nell’anno dell’alieno (2011).

Tema fondamentale dei libri della Soukupová è la complessa esistenza interiore di bambini e adolescenti e il loro difficile rapporto con i genitori e con gli adulti in generale. Anche i tre racconti lunghi di cui si compone Sparire ruotano attorno a questa problematica.

Il primo, Scomparso, racconta la storia di una “normale” famigliola che vive in una cittadina di provincia: padre, madre e due figli. Il padre è un allenatore di atletica, la madre fa l’insegnante, i due figli, Martin e Jakub, rispettivamente di 13 e 10 anni, vanno a scuola. La vita del piccolo nucleo è piena di tensione: il padre ha il mito dell’uomo forte temprato dallo sport e dalla fatica fisica, e cerca in tutti i modi di crescere i figli secondo questo modello. Se gli riesce con il grande, Martin, con il più piccolo non c’è niente da fare: Jakub è gracile, non ama lo sport e la vita all’aria aperta. Un giorno, mentre gioca con gli amici, Jakub viene investito da una macchina e gli viene amputata una gamba. Inizia per lui un vero calvario: perde un anno di scuola, non esce più di casa, si sente diverso. Ma le disgrazie non sono finite. Un pomeriggio Martin esce e non torna più a casa. La preoccupazione dei familiari diventa angoscia via via che l’assenza si prolunga. Il padre beve sempre di più, la madre dapprima sprofonda nella depressione, poi intraprende ricerche frenetiche per tutto il paese. È una donna finita, svuotata. Quando vince una borsa di studio per una scuola artistica di Plzeň, Jakub fa di tutto per superare le resistenze dei genitori, che non vogliono che vada via di casa. Alla fine, riesce nel suo intento. Frequenterà la scuola artistica e abiterà dalla nonna, che vive a pochi chilometri da Plzeň. In questo modo, finalmente si libererà.

Solo per poco presenta un altro spaccato di vita familiare. Alena vive con i due figli Pavlína e Vojta. Pavlína, avuta dal primo marito, ha sedici anni, è grassa e complessata e studia in una scuola per cuochi. Vojta, dieci anni, nato da una relazione successiva, è un bambino dal carattere chiuso, con la passione quasi maniacale di ritagliare modellini di carta, in particolare di barche. Alena ha detto a Vojta che il padre lavora in una piattaforma in mezzo all’Atlantico. In realtà, Karel è un uomo senza spina dorsale, che non ha mai avuto il coraggio di lasciare la famiglia quando Alena è rimasta incinta di Vojta e che non ha mai voluto conoscere il figlio. In famiglia l’atmosfera è piuttosto pesante: Alena lavora molto e la sera torna a casa distrutta, i fratellastri litigano in continuazione. Una sera, Alena viene avvicinata da Karel, che le dice di avere avuto un incidente, di avere ripensato a tutta la sua vita e di voler conoscere finalmente il figlio. Vojta, sconvolto dalla notizia e deluso dalla madre che non gli ha mai detto la verità, va dal padre. Karel lo accoglie dapprima con entusiasmo, ma quando il figlio decide di trasferirsi definitivamente da lui comincia a mostrarsi sempre più nervoso e scostante.

Alla fine, Vojta tornerà a casa da Alena. Ora le cose vanno meglio, sia con Pavlína, che dopo la sua fuga si è resa conto di volergli davvero bene, sia con Alena. Ogni tanto vedrà il padre. Tra loro due il rapporto dovrà crescere piano piano. Insomma, Vojta diventa più consapevole e sicuro di sé. Il ballo di fine corso descrive un’altra situazione familiare complicata. Helenka, separata da anni dal marito Mirek, vive da sola con il figlio, il piccolo Jirka. Helenka ha avuto un’infanzia e un’adolescenza difficili. La madre aveva lasciato il padre e si era risposata con Vladimír, un uomo più anziano di lei, e Helenka aveva faticato ad accettare la situazione. Ancora più difficili erano stati i suoi rapporti con la sorellastra Hanka, nata dall’unione della madre con Vladimír. La vita in famiglia era diventata difficile, finché non era successa una tragedia. Dopo un ballo, nel tornare a casa, la madre era stata investita da un treno. Dopo la sua morte Helenka era andata ad abitare con il padre Milan a Praga, dove aveva trascorso un’adolescenza ribelle, sentendo terribilmente la mancanza della madre. Quando Milan si era trasferito in Germania, lo aveva seguito a malincuore, per poi tornare appena possibile nella Repubblica Ceca. Qui, dopo tanti lavori e una vita piuttosto squallida, si era legata a Mirek, da cui aveva avuto Jirka.

Un giorno, Helenka riceve una lettera della sorellastra (che non sentiva da anni), che le annuncia che Vladimír è morto e la invita a casa sua, in un’altra città. In realtà, frugando tra le carte del padre, Hanka aveva scoperto qualcosa di sconvolgente, e cioè che Helenka non era figlia di Milan. Era anch’essa figlia di Vladimír, a cui la madre era sempre stata legata da una forte passione, anche durante il matrimonio con il primo marito. Dopo lunghe riflessioni su sé stessa e sul passato, Helenka decide di dare spazio agli affetti e di iniziare un nuovo rapporto con Hanka. La Soukupová è maestra nell’analizzare la fitta e complessa rete di rapporti che legano i membri del gruppo familiare, la sofferenza interiore dell’individuo e la difficoltà di comunicazione tra le persone. Ci riesce attraverso uno stile sobrio, quasi spietato, nel quale non c’è spazio per l’autocommiserazione o il conforto.

La narrazione, sempre rigorosamente al presente e spesso condotta in prima persona dai piccoli protagonisti, è incalzante. I capitoli sono brevi, agili. Ho parlato di stile sobrio: lo è al punto che per me è stato molto faticoso renderlo senza cedere alla tentazione di spiegare troppo, rischiando di diventare prolissa e di allungare i dialoghi. Un esempio per tutti: l’uso dell’infinito nella frase principale - per far sì che sia il più obiettiva possibile e lasciare al lettore il compito di attribuirle sfumature diverse - al quale mi sono conformata tranne nei casi in cui nel testo italiano poteva creare confusione. Anche rendere la lingua parlata usata nel libro, ricreandone il tono e le sfaccettature in quella d’arrivo, è stato spesso problematico.

Ma a crearmi le maggiori difficoltà sono stati i realia, quelle parole che denotano oggetti, concetti e fenomeni tipici esclusivamente della cultura ceca, senza equivalenti in italiano, che per lo più ho scelto di non tradurre, facendo ricorso a brevi note a pie’ di pagina. Tradurli, infatti, non solo sarebbe stato impossibile, ma avrebbe anche significato perdere il colorito del testo originale. Il più delle volte si è trattato di termini gastronomici, dai diffusissimi knedliky (“tipici gnocchi di farina di frumento o patate, solitamente di forma circolare, serviti come accompagnamento a numerosi piatti”) al meno comune míša řez (“dolce a base di ricotta e cacao molto diffuso in Cechia”). Ma anche di altri termini. Uno per tutti: chata. Dopo avere invano cercato un equivalente italiano (cottage?, villetta?, casa delle vacanze?, casa fuori?, casa di campagna?) senza trovare nulla di appropriato, il traduttore si arrende e inserisce la nota Casa di campagna o di montagna solitamente molto semplice e di dimensioni ridotte, spesso costruita con le proprie mani dagli stessi proprietari.