La prima edizione di Via col vento è arrivata in Italia nel 1937, in una traduzione a quattro mani, di Ada Salvatore e Enrico Piceni, un anno dopo la pubblicazione americana. Da quest'anno, 2020, il romanzo ha una nuova traduzione, ancora a quattro mani, da parte di Annamaria Biavasco e Valentina Guani, ormai un marchio editoriale di traduzione collaborativa.
Come funziona il vostro binomio per la traduzione letteraria?
Il nostro binomio funziona da tantissimi anni, da molto prima che avessimo i capelli bianchi e che le traduzioni a più mani diventassero una soluzione frequente al progressivo accorciarsi dei tempi di consegna. E’ nato dalla passione per la lettura, che tutte e due abbiamo fin dalle elementari, dal desiderio di un lavoro più creativo della traduzione tecnica, dalla quale tutte e due siamo partite, e un po’ alla volta ci ha trasformato in un “mostro a due teste”, “due cervelli che insieme ne fanno uno”: a furia di lavorare insieme, traducendo ognuna per conto proprio, rivedendo l’una il lavoro dell’altra e poi rileggendo entrambe tutto quanto, spesso più volte, ormai ci capita di non riconoscere più chi ha scritto che cosa. Ma a parte renderci più veloci, il fatto di essere in due ci costringe a mantenere uno spirito critico sulle soluzioni traduttive che di volta in volta proponiamo e a essere ancora più consapevoli delle nostre scelte.
Dalla prima edizione italiana di Via col vento sono trascorsi ottanta anni e questo librone di oltre mille pagine era stato tradotto con i limiti della macchina da scrivere, probabilmente in meno di un anno. Oggi, in quanti mesi siete riuscite a tradurlo?
Pur potendo contare su Internet e su computer, stampanti e tecnologia varia, anche noi ci abbiamo messo poco meno di un anno, fra traduzione, revisione e numerose riletture.
Ovviamente, il lavoro non si è concluso con la consegna a Neri Pozza. A quel punto la nostra traduzione è stata passata al vaglio della bravissima Giovanna Dossena, che non finiremo mai di ringraziare per l’attenzione, la cura e la professionalità con cui ha migliorato il nostro testo ogni volta che ce n’era bisogno.
Avete sentito la necessità di confrontarvi con la prima traduzione o avete deciso di rifare il lavoro da zero?
Siamo partite da zero, cioè dalla lettura dell’originale - e anche noi come tanti conoscevamo Via col Vento tramite il film, ma non avevamo mai letto il libro – e per non lasciarci influenzare abbiamo consultato la prima traduzione solo all’ultimo.
Per curiosità, ci siamo procurate la traduzione francese e ogni tanto abbiamo sbirciato anche quella. E’ del 1938, firmata da una sola persona, Pierre François Caillé, ed è integrale, ma anche in Francia sta per uscirne una nuova.
Ci sono degli esempi e delle motivazioni significative che giustificano il passaggio dall'italiano degli anni Trenta a quello attuale?
Forse per via dell’autarchia linguistica nel 1937, o forse per caratteristiche strutturali della lingua inglese – she e he usavano ai tempi di Margaret Mitchell come ora, mentre “ella” ed “egli” adesso suonano terribilmente datati – la sensazione è che l’originale sia “invecchiato” meno e meglio, rispetto alla traduzione – pur molto ben fatta – dei colleghi Salvatore e Piceni.
Qualche esempio:
Capitolo 35: “There was something familiar about his face.”
(1937) “Vi era in quel volto qualcosa di cognito.”
(2020) “Le parve una faccia nota.”
Capitolo 51: “She went up the stairs and, opening the nursery door, found Rhett sitting beside Bonnie's crib with Ella upon his lap and Wade displaying the contents of his pocket to him. What a blessing Rhett liked children and made much of them! Some stepfathers were so bitter about children of former marriages”.
(1937) “Salì le scale e trovò, nella camera dei bambini, Rhett seduto accanto alla culla di Diletta, con Ella sulle ginocchia e Wade che spiegava dinanzi a lui i tesori delle sue saccocce. Che fortuna che Rhett amasse i bambini e si occupasse di loro! Alcuni padrigni sono così ostili ai figli dei mariti precedenti...”
(2020) “Salì le scale e, aprendo la porta della nursery, trovò Rhett seduto accanto alla culla di Bonnie con Ella sulle ginocchia e Wade che gli mostrava ciò che aveva in tasca. Che fortuna che a Rhett piacessero i bambini e se ne occupasse! Molti uomini erano assai maldisposti nei confronti dei figliastri.”
Capitolo 6: “Across the wide hall was the open door of the library and she sped into it noiselessly. She could wait there until Ashley finished his adieux and then call to him when he came into the house”.
(1937): “Al di là dell'ampio vestibolo era la porta aperta della biblioteca; ella si affrettò a entrarvi senza far rumore. Attenderebbe là dentro che Ashley finisse i suoi saluti e lo chiamerebbe vedendolo rientrare”.
(2020) “Di fronte a lei la porta della biblioteca era socchiusa. Scarlett attraversò l’atrio in punta di piedi ed entrò. Avrebbe aspettato lì che Ashley finisse i suoi adieux e, non appena fosse rientrato in casa, l’avrebbe chiamato”.
Oltre al fattore linguistico, la nuova traduzione pubblicata da Neri Pozza è una versione integrale rispetto a quella precedente che non lo era. Si è trattato di motivi politici oppure alcune parti erano state eliminate per ridurre il testo?
La nostra sensazione è che i tagli operati nella vecchia traduzione fossero dovuti soprattutto all’esigenza di ridurre il testo. Non manca nessuna scena cruciale. Sono state accorciate molte descrizioni, battute di dialogo, riflessioni dei personaggi o della voce narrante, ma non abbiamo rilevato alcun intento censorio.
E' stato necessario per voi tenere conto anche dei dialoghi nell'adattamento italiano del film?
Non sarebbe stato possibile tradurre Via col vento nel 2020 prescindendo dal “mito” che lo accompagna, e che talvolta nasce dal film, più che dal romanzo. Così come nella nostra immaginazione di lettrici (e traduttrici) Scarlett non può che avere le fattezze di Vivian Leigh e Rhett Butler quelle di Clark Gable, allo stesso modo certe battute sono diventate proverbiali, e quindi forse imprescindibili. È il caso del famoso “Francamente, me ne infischio”, per esempio: nel romanzo originale “Frankly” non c’è, ma nella nostra traduzione lo abbiamo aggiunto in omaggio al film.
Che tipo di ricerche avete dovuto fare, per esempio sull'abbigliamento dell'epoca o sul parlato delle fasce sociali, ecc.?
Come preparazione generale, abbiamo guardato il film più volte (in lingua originale e in traduzione), abbiamo consultato i vari prequel e sequel del romanzo pubblicati nel frattempo e abbiamo studiato la storia americana del periodo e la guerra di Secessione in particolare. Abbiamo letto La capanna dello zio Tom, Radici, L’ultima fuggitiva, Il buio oltre la siepe e Il colore viola.
Per l’abbigliamento e altre peculiarità della vita quotidiana a quei tempi abbiamo consultato vari siti, e anche qualche blog di appassionati di Via col vento.
Ma l’aspetto più delicato e che naturalmente ha attirato più attenzione è stato l’uso del linguaggio dei e sui “neri”.
Il termine nigger, per esempio. Ai tempi della guerra di Secessione, e anche di Margaret Mitchell, era già offensivo, ma molto meno connotato di oggi. Analoga evoluzione ha avuto la parola “negr*” in italiano: all’epoca della prima pubblicazione di Via col vento era comunemente usata per indicare le persone di colore e nella versione italiana del 1937 spesso traduce anche slaves, darkies, blacks, ecc. Nella nostra traduzione abbiamo tenuto conto di questa evoluzione linguistica e di sensibilità, e abbiamo spesso mitigato i niggers di Margaret Mitchell usando “neri” o alternative come “schiavi”, “servi”, “servitù”, “domestici”, “braccianti”, e “negr*” soltanto nei casi in cui nell’originale c’era un chiaro intento offensivo.
Cosa esprime l'espressione Via col vento?
Il titolo del romanzo di Margaret Mitchell è tratto da un verso della poesia di Ernest Dowson Non Sum Qualis Eram Bonae Sub Regno Cynarae, che parla della fine di un amore e in italiano suona così: “Molto ho dimenticato, Cynara, disperso nel vento”. Nel romanzo, ciò che il vento disperde è la società schiavista del Sud, le piantagioni come Tara e Twelve Oaks, uno stile di vita che molti personaggi del libro rimpiangono e che forse Margaret Mitchell idealizza. Una curiosità: il titolo italiano fu scelto tra una serie di proposte che comprendevano Vento d’uragano, Bufera nel sud, Il vento che travolge, In preda al turbine, Vento di rapina.
Intervista a cura di Dori Agrosì