Autore:
Harold Pinter / editore: Einaudi, 2005
Pubblicazione:
20 dicembre 2005
Pinter ha sempre e solo scritto per se stesso, mai pensando al pubblico: "fuck the audience!" ("fan culo il pubblico!"), è solito dire. Quindi tutto proviene direttamente dal suo vissuto, dalle sue curiosità, dalle ricerche linguistiche, senza filtri né falsi infingimenti. Un'onestà letteraria senza mezzi termini e un'assoluta assenza di retorica. La retorica ucciderebbe il suo teatro. Pinter mette in scena l'essenziale e l'essenza del dialogo viene poi restituita alle scene in maniera del tutto spontanea. E' capace di scarnificare i suoi personaggi piuttosto che velarli di superfluo. E' come se scavasse nella profondità delle radici per poi lasciare affiorare solo l'apparente leggerezza dell'essenziale.
Quando gli capita di rivedere o di rileggere un suo testo, anche molti anni dopo, i rarissimi interventi sono sempre a favore di un taglio piuttosto che di un'aggiunta.
Una parola, una persona, un'immagine o un episodio, per lui, si trasformano in una sorta di ossessione finché non riesce a inserirli in un progetto, una specie di processo catartico. Pinter, come tutti noi, coltiva le sue fantasie e dà loro vita, solo che lui, da queste elaborazioni, crea delle opere.
Una volta, andando a una festa, vide in una stanza - la porta era aperta - due uomini seduti a un tavolo. Il primo, un omino piccolo e scalzo, parlava in continuazione come se avesse dovuto intrattenere, in un'interminabile conversazione, il secondo, un gigantesco camionista col berretto in testa che non proferiva verbo. Il primo, sempre parlando, accudiva il camionista, imboccandolo e imburrando del pane che a mano a mano affettava.
Qualche settimana dopo scrisse La stanza. (The Room, 1957)
In un'altra occasione e in un altro locale vide altre due persone sedute, e scrisse Il compleanno. (The Birthday Party, 1957)
Le commedie di Pinter si svolgono, quasi sempre, in una stanza o in un salotto all'interno di una casa, apparentemente tranquilli e rassicuranti, le minacce giungono sempre da fuori, contaminandola e insinuandosi attraverso fessure invisibili. Il malessere si rivela a poco a poco tramite i personaggi che, come tutti, spesso hanno un'altra vita e molteplici personalità, e che lì per lì parrebbero snaturarli ma che invece non fanno altro che renderli più umani e pertanto reali. Viviseziona la condizione umana, le paure, le ombre, le instabilità, le incertezze, la politica della famiglia e dei rapporti con determinazione e trasparenza. La sua analisi può sembrare crudele e brutale ma ciò che rappresenta è sempre penetrante e lucido tanto che gli spettatori, seppure a malavoglia, non possono non riconoscersi nelle sue pièces. Questo è forse il motivo per cui è tanto odiato dalla borghesia ipocrita e, invece, amato da quella anticonformista.
Anche la memoria è sempre presente nelle sue opere, la rievocazione è fondamentale per lui. Una delle battute chiave che sintetizza il suo rapporto con la memoria la troviamo in Vecchi tempi. (Old Times, 1971): "Io ricordo cose che magari non sono mai accadute ma proprio perché le ricordo diventano reali".
Pinter è anche colui che ha cambiato le convenzioni teatrali, colui che ha tracciato un solco, un confine irreversibile nel teatro contemporaneo. Gli attori che affrontano i suoi testi lo sanno bene. Una volta i cosiddetti "buchi di scena" erano l'incubo degli attori, e nelle Accademie o scuole di arte drammatica di tutto il mondo venivano sempre definiti quasi come un sacrilegio. Lui con le sue pause, brevi o lunghe, e i suoi "silenzi pieni" ha riempito quei buchi di scena con un'intensità eloquente trasformandoli in battute concrete a volte più espressive del parlato: il significato emerge, quasi sempre, dalla tensione contenuta in questo gioco di forze. Ha cambiato il ritmo o meglio la musica del palcoscenico, e diciamo musica perché Pinter oltre a essere un drammaturgo, è soprattutto un "compositore".
Le brevi battute che caratterizzano i suoi testi contengono una serie infinita di significati, e riuscire ad affrontarle, a volte, può essere molto complesso. I dialoghi sono il frutto dell'elaborazione di un pensiero, di un'azione, di una situazione che vengono espressi con intenzioni, sottotesti, e, come già detto, con gli insostituibili silenzi e le pause.
Un linguaggio assolutamente realistico, all'interno di situazioni spesso surreali, riesce a esprimere in modo autentico i rapporti tra gli individui: dialoghi diretti e indiretti, conversazioni interrotte e poi riprese, frasi apparentemente banali nascondono, rancori, gelosie, minacce, che in realtà sono palesi; dissimulazioni mascherano istinti che non possono o non devono essere espressi. I suoi personaggi sono sempre descritti in maniera impeccabile, il dialogo ha uno spessore esemplare e il testo è assolutamente compiuto anche nelle sue commedie brevi.
Non è facile recitare Pinter perché non è un autore che offre quei supporti su cui gli attori possono costruire le basi dei personaggi da interpretare. I suoi protagonisti sono quasi sempre privi di radici, entrano in scena da un luogo non precisato, il più delle volte a metà conversazione e portandosi dietro un loro passato che spesso non c'entra con la trama della pièce, ma che interviene trasformando le circostanze e l'atmosfera venendo così a creare lo spessore e la sospensione drammaturgica tipicamente "pinteriana". Le sue commedie sono squarci di vita che non hanno né inizio né fine. Con il loro ingresso i personaggi "contaminano" un "dentro" apparentemente tranquillo con un "fuori" ambiguo e spesso violento. E' la minaccia la vera protagonista delle commedie di Pinter, soprattutto nelle prime opere, una minaccia intima e allo stesso tempo esplicita.
Tradurre Pinter non è stata cosa facile. L'idioma inglese si presta più della nostra al linguaggio teatrale; ha una musicalità e un'espressività diverse dal nostro. Il teatro di Pinter poi - come già detto - è musica allo stato puro. Quando, un giorno, gliel'ho detto, lui si è messo a ridere ma poi ci ha ripensato ed era d'accordo. Lui si innamora delle parole, del loro suono, è capace di costruire un'intera opera intorno a una parola che lo ha colpito.
Nel 1997 ha diretto, in Italia, e in lingua italiana, Ceneri alle ceneri, (Ashes to Ashes, 1996) con Adriana Asti e Jerzy Stuhr. Io ero la sua aiutoregista, traduttrice e tramite delle sue indicazioni registiche.
Un giorno, durante la lettura "a tavolino" ci siamo imbattuti nella frase "le borse galleggiavano sulle onde". Il suono del termine "galleggiavano" lo aveva affascinato: e non riusciva a smettere di ripeterlo. Pinter si diverte a giocare con la lingua, a comporre giochi di parole, arte in cui per altro eccelle. Questa però è anche una sfida molto temuta dai traduttori perché riuscire a restituire lo stesso gioco conservandone suono, sapore e significato è spesso impossibile e l'adattamento è un termine che fa orrore sia all'autore che a me. Ma a volte è indispensabile.
Per una serie di imprevisti, sempre nel corso delle prove di Ceneri alle ceneri, ci toccò improvvisare le scene e i costumi recuperando il materiale in uno di quei magazzini inquietanti che si trovano alla periferia delle città. Eravamo a Palermo. Un pomeriggio andammo tutti insieme a scegliere le due poltrone, il tavolino basso, una sedia, una lampada a stelo che ci servivano, e soddisfatti tornammo in teatro a riprendere le prove, in attesa della consegna. Anche le scene di Pinter sono sempre molto essenziali, non un oggetto in più di quello che serve. E serve sempre molto poco. A dire il vero, tutto il teatro inglese, soprattutto quello contemporaneo, dà poca importanza alle scene e ai costumi. L'attenzione è più rivolta al teatro della parola e gli arredi o i costumi troppo importanti distraggono dalle parole e pertanto risultano controproducenti. Il giorno dopo, sempre durante le prove di Ceneri alle ceneri, stavamo provando una scena in cui una delle battute di Adriana Asti diceva, "… e la penna è scivolata sul tappeto". Ci fu un attimo di sgomento, tutti, compreso Pinter, abbiamo pensato e detto, "Merda, ci siamo dimenticati il tappeto!" L'idea di dover tornare in capo al mondo per trovare il tappeto che doveva accogliere quella penna ci gettò nello sconforto. Pinter risolse il problema in un battibaleno, dicendo, "L'autore si è sbagliato, la penna non è scivolata sul tappeto, è scivolata per terra!" Che sollievo!
Come sappiamo Pinter nasce attore quindi conosce bene il mestiere: la sua regia non è solo una messa in scena quanto un "servire" gli attori. A questo proposito mi ricordo che un giorno Adriana Asti (Rebecca, in Ceneri alle ceneri) mentre provava una battuta in cui vi era la descrizione di un film che "probabilmente" aveva visto, (dico probabilmente perché Rebecca aveva spesso delle visioni che potevano essere reali come immaginarie, non si sa) chiese a Pinter, "Ma Rebecca il film lo ha visto o se lo sta inventando?" e lui, dopo un attimo di riflessione: "Tu cosa ne pensi?" e Adriana, "Io, credo che l'abbia visto davvero." "E allora dilla come se avessi visto il film, tanto, cosa vuoi che cambi!" le ha risposto. Prendendo come spunto le fantasie, i miraggi e i sogni di Rebecca, che abitano spesso anche altri personaggi delle sue commedie, è importante dire che nel teatro di Pinter, nonostante la complessità dei dialoghi e dei significati non detti ma espressi con intenzioni, sottotesti, silenzi e pause, lui è estremamente lontano dal simbolismo. I cosiddetti "arcani" che si dice siano contenuti nei suoi testi - spesso definiti sibillini oltre che ermetici - e che molti cercano di svelare andando a cercare simboli o altro, sono soprattutto frutto delle "loro" elucubrazioni intellettuali. Pinter non è un intellettuale, lo dice lui stesso, e anche un po' risentito quando lo definiscono come tale.