Autore:
Jane Birkin / editore: Barbès, 2008
Pubblicazione:
1 aprile 2009
Non potevo che cominciare da lei. Jane Birkin, il suo meraviglioso sorriso, il suo volto sensibile, la sua figura piena di energia e di grazia, la sua sincerità e onestà, la sua apertura mentale, la sua disponibilità all’incontro, la sua inimitabile capacità di essere veramente uno spirito libero e al tempo stesso un’icona nel panorama artistico e intellettuale e del costume in Francia e in Europa, grande attrice, autrice, regista, musicista, pop star, idolo glamour e molto altro ancora. L’ho vista in scena al Teatro Romano di Fiesole con Arabesque, l’ho inseguita attraverso i film, le canzoni, le interviste, le apparizioni televisive, e ogni volta ho trovato un livello artistico, intellettuale e professionale altissimo unito a una presenza di straordinaria umanità e verità. Jane Birkin non recita il proprio personaggio pubblico; semplicemente e coraggiosamente, è. Tutto ciò si rivela fondamentale per affrontare un testo come Oh scusa dormivi che indaga dimensioni profonde dell’identità e della relazione, la nozione stessa di “intimità”, nell’accezione del termine data dal fondatore della psicanalisi transazionale Eric Berne. Niente di più intimo di questa nottata insonne di confronto rivelatore teso allo spasimo fra due amanti di lunga data che sembrano giunti al limite ultimo della loro relazione e della loro convivenza; parrebbe uno di quei momenti per loro natura confinati nel più ristretto ambito privato, nel dominio dell’indicibile, e invece diventa arte. La dimensione dialogica del testo e la sua struttura di pièce teatrale amplificano ulteriormente l’apertura del testo come “finestra che si apre nei due sensi” dal mondo che sta dietro i due protagonisti a quello che sta loro di fronte. Senza questo tipo di approfondimento non avrei potuto cogliere e restituire la precisione della descrizione psicologica e del campo semantico, del tono degli scambi verbali, del particolare humour, dei passaggi lirici e di quelli drammatici. Inoltre non potevo tralasciare il bilinguismo dell’autrice che si inscrive in un importante contesto della cultura e della lingua francese con autori del calibro di Beckett o Jonesco. Un fenomeno che non ha un equivalente nella nostra letteratura; era importante quindi non italianizzare a tutti i costi pur rispettando la scorrevolezza dell’originale. Infine la dimensione teatrale del testo, per la quale ho potuto mettere a frutto la mia personale esperienza come regista interprete e docente di teatro e teatrodanza. Ho potuto cioè “vedere” la pièce, i due personaggi sul palco, gli scambi di battute e i movimenti collocati nello spazio scenico; ho interpretato il testo come attrice e regista, affinché potesse essere pronto per una eventuale messa in scena. In un dialogo serrato il cui ritmo incalzante provoca un crescendo di tensione, allungare la durata di una battuta può danneggiare la recitazione, così come una didascalia di piacevole lettura ma che non renda con esattezza il movimento. Avendo lavorato da attrice e regista su Aspettando Godot di Beckett, Le Serve e Il Balcone di Genet so che talvolta una traduzione bella da vedere può non bastare a chi deve in scena darle carne e sangue, cioè verità, quella verità che Jane Birkin rende arte.