Traduzione da: Davide Fanciullo - Letteratura macedone - Nenad Joldeski, Mimesis, 2019
Il macedone è lingua ufficiale dal 1944. Dopo non pochi conflitti con gli Stati confinanti, oggi la Repubblica di Macedonia annovera un folto numero di autori che da oltre un secolo hanno contribuito al raggiungimento dello standard letterario.
A ciascuno il suo lago, è il secondo libro del poeta e scrittore macedone Nenad Joldeski, arrivato in Italia quest’anno a seguito del Premio Europeo per la Letteratura del 2016. Sono storie brevi, addirittura brevissime e una storia lunga, ambientate perlopiù a Struga, nella Macedonia del Nord. I racconti si avvicendano tra presente e ricordi del passato con personaggi introspettivi.
Lo stile autobiografico, ma soprattutto poetico, rende singolare questa scrittura sin da subito, lontana dalle aspettative del lettore.
Il titolo ci informa dell’esistenza di più laghi, dell’elemento dell’acqua che si rivela fonte di speranza e di felicità. L’acqua che rimescola le esistenze facendo presupporre un nuovo incontro, prima o poi, nella possibilità di riemergere dagli abissi di un passato. Addirittura l’acqua come metafora di una stretta di mano diplomatica, come l’incontro tra un fiume e un lago, piuttosto diffidenti a mescolarsi. Allo stesso modo le storie narrate riemergono nel corso della lettura. Sono storie di conflitti e storie di un popolo che evolve senza tuttavia cancellare la memoria, codificata invece e ad arte nella parte di testo non scartato, ma barrato.
In tutta la raccolta la prosa è guidata dalla poesia con pensieri e dialoghi apparentemente semplici, della quotidianità, ma soprattutto di grande resa.
L’egregia traduzione di Davide Fanciullo ha il pregio di offrire al lettore italiano un quadro più ampio dei diversi tasselli che compongono la narrativa europea. Dal catalogo di Mimesis possiamo leggere il racconto di una parte di Europa nella proposta di autori come Nenad Joldeski, abile a circoscrivere un’epoca nella forma breve.
Siamo spettatori dell’esodo di due coniugi russi, un medico e sua moglie, durante la guerra. I due si affidano ai presagi nel tentativo di interpretare il loro stesso futuro: entrambi passeggeri su un convoglio tra le montagne macedoni, guardano lo spettacolo di un pellicano, acquatico e migratorio, mentre vola sul piccolo treno come a volerlo guidare. La locomotiva sbuffa, s’incurva e poi fischia decisa sull’ardito percorso. Arriva a valle finalmente, estasiando tutti con la vista del lago, il Drin nero, come l’inchiostro della storia, presagio di speranza e felicità. Emigrati a Struga si fanno coraggio a vicenda, sono l’una il mondo dell’altro, spesso con la mente nel ricordo. Attenti a tutto ciò che proviene dalla Russia, come la musica, per esempio, ascoltano incantati anche quella più disprezzata dallo zar.
Treni simili al convoglio che li aveva portati in Macedonia, percorrono ancora oggi gli spettacolari tornanti delle montagne balcaniche. È un bel riferimento, oltre a essere mezzi di trasporto sono attrazioni turistiche e patrimonio paesaggistico.
Nei racconti più brevi l’autore interpella il fango del tempo attraverso storie autobiografiche con i suoi amici di lunga data o con i suoi familiari, storie talvolta surreali. Nella sua stanza, la libreria è ben fornita di classici russi, americani, l’argentino Borges, gli europei Hoffmann, Balzac, Cervantes, Baudelaire, e tra loro l’italianissimo Eco.
Dori Agrosì