Traduzione da: Letteratura svedese - traduttore: Massimo Ciaravolo
Traduco dal 1987 e non l'ho mai fatto a tempo pieno. La situazione che reputo ideale è combinare il lavoro solitario del ricercatore e traduttore con la dimensione dialogica e interpersonale dell'insegnamento. Ho insegnato inglese e tedesco nelle scuole serali e diurne; poi nel 1996 ho avuto la fortuna di diventare ricercatore di lingue e letterature scandinave all'università, e dal 2005 sono professore della stessa materia. Come studioso di lingua e letteratura mi è sempre parso che nessun lavoro di analisi linguistica e testuale sia più profondo e capillare della riscrittura nella traduzione. Il testo ti passa dentro; lo devi rivivere e ricostruire in ogni suo segmento. Purtroppo, a causa degli impegni in università, vedo che diminuisce il mio tempo per il lavoro paziente e concentrato del filologo (nella sua accezione letterale di chi ama i testi e le parole). Fortunatamente collaboro con un editore che conosce la mia situazione e l'accetta. Il patto funziona più o meno così: una traduzione ogni tanto e con tempi non stretti di consegna; da parte la mia, la scelta cade su testi e autori veramente importanti per il mio lavoro di studio e ricerca.
Il rapporto con l'autore Ulf Peter Hallberg nacque verso il 1998, quando gli scrissi a Berlino, dove abita, per dirgli che avevo letto il suo libro "Flanörens blick" - che poi avrei tradotto per Iperborea come "Lo sguardo del flâneur" - e che mi aveva colpito molto. Come studioso ero impegnato in quegli anni a scrivere un libro, poi uscito nel 2000 in svedese, sulla ricezione e attualizzazione della figura letteraria del flâneur nella letteratura di lingua svedese tra fine Ottocento e primo Novecento, a Stoccolma e a Helsinki (qui tra la minoranza di lingua svedese). Lo scrittore stoccolmese Hjalmar Söderberg (1869-1941), di cui ho tradotto "Il gioco serio" (1912) per Iperborea, era il fulcro di quella ricerca. A Ulf Peter Hallberg, forse, non sembrò vero che un italiano scandinavista nutrisse le sue stesse originali passioni. Hallberg ha tradotto dal tedesco in svedese buona parte delle opere di Walter Benjamin, dove la figura del passeggiatore parigino, il flâneur, ha una posizione importante, di grande ispirazione per tutti coloro che si occupano di queste stranezze ottocentesche.
In breve, siamo diventati amici. Sembra il puro idillio, mi rendo conto, ma a volte succede così: lo scrittore e il "suo" traduttore si sentono anime gemelle. Questo ha dato alla traduzione de "Il calcio rubato" condizioni esteriori del tutto particolari e favorevoli. Non solo abbiamo potuto incontrarci a più riprese per discutere del testo e delle mie scelte di traduzione (non dico che questa sia una condizione consigliabile in assoluto, ma che per me e per l'autore è stato importante). Intanto il testo di "Den stulna fotbollen", che aveva il suo nucleo nei dieci racconti sui mondiali di "Italia '90" pubblicati da Hallberg nel 1990, si stava arricchendo di una nuova cornice narrativa, che prendeva forma in relazione al progetto di traduzione italiana. Hallberg sentiva che, se l'operazione di ripescare quel suo viaggio italiano doveva avere un senso, egli doveva attualizzarlo nella sua scrittura, far sentire il tempo trascorso e il recupero della memoria. Come traduttore mi sono così trovato nell'officina dell'autore; non dico nella stanza più segreta, ma nei locali adiacenti. Ed è stata un'esperienza umana e professionale dalla quale ho imparato molto e grazie alla quale sono cresciuto. Qualcuno dice che per essere bravi scrittori si debba essere cattive persone, o per lo meno egoiste, concentrate unicamente sulla propria creazione. Non saprei. Ma così non è per Ulf Peter Hallberg, questo è sicuro.
Ulf Peter Hallberg non capiva molto di calcio nel 1990, ma aveva dalla sua la lingua e lo sguardo. Per lui non è stato un problema acquisire quella terminologia tecnica che fa parte della cronaca calcistica. A me, che dall'oratorio all'adolescenza ho giocato a calcio e raccolto figurine, quel tipo di linguaggio settoriale era noto. Dovevo stare attento a non cadere nel cliché parolaio dei tuttologi del pallone. Ma da questo punto di vista l'uso da parte di Hallberg è molto misurato: non sposa quel linguaggio ma può usarlo; e io ho cercato di aderire a questa sua attitudine.
Lo sguardo di Ulf Peter Hallberg verso l'Italia è empatico e critico. Quando i nordici viaggiano in Italia, il rischio del luogo comune, negativo o positivo, infernale o solare, è dietro l'angolo. Non così per Hallberg. Trovo che la sua esperienza italiana, che diventa esperienza esistenziale al di là di ogni appartenenza nazionale, riesca a entrare in contatto con i nostri modi d'essere più profondi.
Vorrei concludere illustrandolo con un esempio, che riguarda Napoli e i napoletani (io stesso sono di Torre del Greco, sebbene abbia vissuto quasi tutta la mia vita a Milano). Siamo nella drammatica serata della semifinale contro l'Argentina:
"Ero lo straniero che avete invitato a pranzo a casa vostra, lo sconosciuto di cui vi siete fatti carico, l'uomo condotto sulla terrazza del palazzo antico a bere vino e a guardare le stelle. Siete stati voi a puntare al cuore, e io ad annuire.
Ricordo i vostri sguardi e la vostra attesa, le vostre camicie bianche e i vostri occhi vivaci, i vostri berretti e le banderuole; ricordo le vostre belle donne che ridevano imbarazzate, ricordo come gridavate e ciarlavate. "Pepè e Mario - Ora no - Ma perché - Venite prima qua! Da questa parte! Adesso dove sono? Non ho tempo. Statevi accorti! Dov'è tuo fratello - e Maria quando viene?" (pp. 80-81)"Credo che se non avessi sentito la capacità di totale empatia dell'autore verso i nostri modi, anche linguistici, mai avrei osato, come ho fatto, tradurre le frasi di discorso diretto con un accento di dialetto, seppure italianizzato. Avrei scritto "state attenti" o "fate attenzione" ma non "statevi accort"i, che è un'espressione napoletana. Credo sia stata la prima occasione in cui, come traduttore, mi sono concesso una simile licenza, grazie a Ulf Peter Hallberg.
Massimo Ciaravolo