Traduzione da: spagnolo (Argentina)
"Questi libri non vogliono essere un'opera, non hanno la volontà di totalizzazione propria di un'opera. Sono un insieme di testi indipendenti. Nascono un po' dalla nostalgia per quegli almanacchi della mia infanzia che leggevano i contadini e in cui c'è di tutto, dalla medicina popolare alla puericultura, dai consigli per piantare le carote alle poesie. L'unica unità possibile risiede nella scrittura, proviene dal fatto che tutti i testi sono stati scritti da me. Mi piacciono particolarmente perché vanno contro la nozione di genere, ormai piuttosto indebolita, ma ancora in grado di fare stragi. Critici e lettori si sentono tuttora a disagio quando non riescono a classificare un'opera".
Così si esprimeva Julio Cortázar a proposito del Giro del giorno in ottanta mondi (1967), e dei successivi Último round (1969) e Territorios (1978), costruiti sul modello degli almanacchi popolari, diffusissimi in Argentina all'epoca della sua infanzia, e dei collage dadà. Sono volumi che comprendono versi, racconti, riflessioni e immagini che non solo hanno la funzione di illustrare il testo ma ne moltiplicano i significati, suggerendo libere associazioni di idee e percorsi di lettura alternativi.
Nel rivelare la formazione universale di Cortázar, Il giro del giorno in ottanta mondi può essere considerato una enciclopedia personale che racchiude riflessioni su vari aspetti della sua esistenza: la letteratura, il jazz, la posizione politica, la creazione poetica, le letture e gli autori preferiti, il senso dell'umorismo, le passioni: Parigi, il pugilato, i gatti…
I mondi attraverso cui Cortázar ci conduce ("Questo giorno ha ottanta mondi, la cifra è indicativa ed è questa perché piaceva al mio omonimo, ma forse ieri erano cinque e questo pomeriggio centoventi, nessuno può sapere quanti mondi ci siano nel giorno di un cronopio o di un poeta…") sono luoghi di incontro con altri esseri che condividono i suoi stessi principi di libertà creatrice.
Dopo una dichiarazione di intenti iniziale, si stabilisce il dialogo con personaggi di ogni settore del mondo artistico: musicisti come Lester Young, Charlie Parker, Clifford Brown, Louis Armstrong, Thelonius Monk, Carlos Gardel; artisti innovatori quali Man Ray, Julio Silva, Marcel Duchamp; poeti e scrittori da Mallarmé a Lezama Lima, ecc. Viaggiamo insieme a cronopios di tutto il mondo, maori, inglesi, argentini, italiani, tedeschi, francesi, ai quali lo scrittore dedica qualche pagina, una citazione, un semplice commento. Le evocazioni sono così tante da fargli segnalare: "Avrete notato che le citazioni piovono […] Negli ottanta mondi del mio giro del giorno ci sono porti, alberghi e letti per i cronopios, e poi citare è citarsi […]".
Cortázar, che aveva cominciato giovanissimo a scrivere poesie, da lui definite "terribili per il contenuto ma perfette quanto a ritmo e rima", ricorda che il passaggio alla prosa avvenne con difficoltà, fino a quando non raggiunse un certo dominio formale e scoprì che la prosa possiede un ritmo proprio. Ricorda anche il grande aiuto che gli venne dalla sua esperienza di traduttore: "La traduzione mi affascina come lavoro paraletterario o letterario di secondo grado. Quando si traduce, vale a dire, quando non si ha la responsabilità del contenuto dell'originale, il problema non sono le idee perché quelle le ha già messe l'autore; basta trasferirle e a quel punto i valori formali e quelli ritmici che si sentono pulsare nell'originale passano in primo piano".
Nel tradurre questo libro dai molteplici registri, ho sempre cercato di tener presente la lezione cortazariana.
Cortázar, che rifiuta l'idea della "bella pagina" intesa come unico mezzo espressivo concesso allo scrittore, ricorre spesso a una lingua colloquiale, tenendo presente che il colloquio avviene fra uno scrittore colto e intellettuale come pochi altri e un lettore complice e mai passivo. Una lingua che non cade mai nella sciatteria e, pur rifuggendo da qualsiasi ampollosità, accosta ai toni elevati di Estate sulle colline la semplicità e la tenerezza infantile miste alle invenzioni linguistiche di Viaggio in un paese di cronopios. Alla perfezione stilistica di racconti come La carezza più profonda si contrappongono gli sproloqui e le corrispondenze stralunate degli svitati, e a questi, la raffinata complessità di Morelliana, sempre, delle straordinarie pagine dedicate a Lezama Lima o Del sentimento di non esserci del tutto.
In mezzo a tante trasgressioni linguistiche, mi sono sentita costantemente in bilico fra la tentazione di "chiarire", con il rischio di un appiattimento del testo, e quella di una eccessiva aderenza all'originale che avrebbe potuto nuocere alla resa del ritmo o di quell'altro fondamentale tratto cortazariano che è il senso dell'umorismo.
Un cenno a parte sui versi presenti nel testo: alcuni sono dello stesso Cortázar, altri di vari autori cubani, per arrivare a quelli del fantomatico poeta argentino "che nasconde la gemma del suo spirito sotto il modesto pseudonimo di El Santo". Insomma, una miscellanea che mi avrebbe messo in crisi se non avessi avuto il prezioso aiuto di Giuliana Carraro, che non finirò mai di ringraziare. Ma pur sempre timorosa di appartenere ormai a pieno titolo non solo alla categoria dei "traditori solitamente rifugiati nel mestiere della traduzione", ma di quelli che, traducendo poesia, sembravano a Cortázar "incarnazioni di quel sofisticato Giuda che tradisce per innocenza e per amore, che abbraccia la sua vittima tra fiaccole e ulivi".