Minuetto, in onore di Vitomil Zupan
Nelle carceri slovene postbelliche dove Vitomil Zupan trascorse sette dei diciotto anni comminatigli in un processo montato, l’autore scrisse Levitan, il libro culto della gioventù punk slovena degli anni Ottanta, testimonianza di una ribellione folle e coraggiosa, di un coerente essere “contro” ogni forma di regime. Vitomil Zupan è annoverato tra gli scrittori del canone letterario della Repubblica di Slovenia, custode della più forbita tradizione letteraria della lingua slovena classica, che (è stato detto) “sotto la sua penna scorre come un rivolo di platino”.
In occasione della pubblicazione di Minuetto in italiano, nel luglio 2019, il poeta sloveno Marko Kravos ha ricordato che Minuetto resta un’opera cosmopolita e da esportazione, e al tempo stesso è uno dei romanzi che hanno segnato in maniera indelebile l’orizzonte culturale sloveno.
Lo Zupan maestro di misura classica è allo stesso tempo uno spericolato sperimentatore di torsioni linguistiche audaci, antitradizionali, e affida potere demistificatorio nei confronti delle cose. La sua riproduzione di gerghi specifici (gli slogan dogmatici del pappagallesco maestro di scuola Počivalnik, il più sottile, persuasivo e vagamente minaccioso argomentare del commissario di brigata Ciro, gli scontati proclami dell’ambiguo comandante Mihajlov, la logorrea notturna dell’allucinato Depolo/Osip, la retorica altisonante di Dolničar, potentissimo membro del Politburo, ecc.) registra mimeticamente gli enunciati ideologici facendone emergere con immediatezza il carattere artificiale.
È stato detto di Zupan che viveva per scrivere, e tutto quello che gli succedeva – e gliene succedevano di tutte – era materiale destinato a passare nella scrittura, arricchita da riferimenti e ricordi letterari sloveni e mondiali come introduzione a e in sintonia con il contenuto di ognuno degli otto capitoli, riferimenti disseminati nel tessuto narrativo che ne guadagna in spessore, profondità e risonanza evocativa. Tra i tanti, ne scelgo uno che – a quanto ho potuto constatare – non è stato individuato dagli studiosi di Minuetto, si riferisce al titolo originario del romanzo, L’importante è raggiungere la vetta. Modificato in seguito, riaffiora nel corpo del testo come ricorrente mantra a funzione apotropaica, evocando, senza espressamente citarle, le esortazioni a tenere i luoghi alti nei Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio, Capitolo XVII Libro Secondo: (tenere le artiglierie ne’ luoghi alti) ovvero ne “I sette libri dell’arte della guerra” (i terrazzani si mantengano ne’ luoghi alti. Il Segretario fiorentino era costantemente presente allo spirito di Zupan come saggio consigliere di adattamento ai tempi e pragmatico seguace della verità effettuale della cosa – felice è colui che si comporta in armonia con la natura dei tempi – nonché stratega dell’arte della guerra guerreggiata. La scena con Sabina richiama invece alla mente il famigerato sintagma “e Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo, perché la fortuna è donna; et è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla...”
Infine, Zupan l’irriducibile, elemento spurio e fastidioso sassolino nella scarpa di ogni regime, le cui opere non videro la luce per decenni, – avrà anche sentito comunanza di destino con un autore la cui indubbia grandezza aveva trionfato sulla secolare damnatio memoriae cui erano state condannate le sue opere, inserite nell’Index librorum prohibitorum.
Un personaggio da leggenda, l’infanzia e l’adolescenza illuminate e funestate da presenze e da eventi fuori dell’ordinario, una serie di viaggi avventurosi, l’ingresso nei sokol di sinistra, la cattura e il campo di concentramento italiano di Gonars, l’ingresso nella NOB (il Fronte di liberazione nazionale), e a guerra finita, il carcere… Una vita romanzesca, un carattere difficile e impulsivo, consapevole di sé e della propria forza magnetica, esente da qualsiasi narcisismo, non si sottraeva al confronto con il potere. Il suo modo di comportarsi e tutto il suo essere furono bollati come decadenti e nihilisti, incompatibili con il realismo socialista. “Zupan è stato creato da Dio per dare scandalo” avrebbero potuto dire di lui – come fu detto di Céline – i perbenisti ipocriti che esecravano i suoi eccessi e avrebbero fatto (e fecero) di tutto per metterlo a tacere, per impedirgli quel suo intollerabile presentare senza veli e idealizzazioni propagandistiche gli anni di lotta e gli eroi senza macchia e senza paura, i guerriglieri partigiani. Nella versione di Zupan sono individui qualsiasi, tormentati da fame e freddo, pidocchi e zecche, piagati da ferite purulente, esausti per le marce sfibranti, le fughe senza meta. Confusi e spaventati conoscono lo strazio dei sentimenti e lo spettro della paura. In un indefinito anelito a un mondo migliore, con coraggio e altruismo, cadono per proteggere il trasporto dei compagni feriti.
Sin dall’incipit il romanzo si iscrive esplicitamente dentro un gioco di ironie metaletterarie (il manoscritto ritrovato, fogli, quaderni e appunti sparsi, diffrazioni autobiografiche tra il partigiano estensore delle note diaristiche e il loro trascrittore che forse si identifica con l’autore e forse no, giochi di scatole cinesi e di rimandi), lo stile si modella sulla situazione, spesso è impressionistico, caratterizzato da frasi brevi, ellittiche del verbo, elenchi, voli pindarici, lunghe sfilze di schegge narrative sistemate a mosaico, fotografie fulminee di situazioni, di ambienti naturali o interiori in cui è immerso Berk, oppure immagini poetiche. A brani di registro alto si alternano esclamazioni e imprecazioni di registro triviale e sequele di “assurdo”, suoni privi di senso, eco dello smarrimento onirico del protagonista. Altrove, a distese riflessioni della voce narrante succedono brani di ritmo denso, a scatti, brioso e arricchito di giochi di parole, di termini dialettali (knap, termine locale dell’Oltresava (Zasavje) per rudar, minatore; luštkan, slang lubianese per grazioso…etc), di salaci hapax legomena (l’onaniriato vescovile — nella traduzione inglese lo hapax è stato bacchettato e corretto in Episcopal ordinariate) e di irriverenti parodie di versi goethiani, di modi di dire o paratesti attinti a idiomi diversi, serbo, turco, ma anche tedesco, spagnolo, francese, italiano.
Zupan sceglie con precisione ossessiva “misura e colore” delle parole per esprimere quello che gli preme esprimere in termini esatti, non casuali, che si tratti di pagine di meditazione filosofica o di momenti colloquiali. Alle variazioni di registro si alternano intermezzi lirici ovvero di prosa in versi, con rime, assonanze, consonanze, allitterazioni, omoteleuti, due esempi di questo tipo:
Pod nami pokajo ročne bombe, črno-siva brozga brizga tik pod našimi položaj, zasipa nas tista svinjarija, zemlja, kamenje, veje, snežni brljuzg.
Scoppiano bombe assai da presso, volano sassi, terra, rami, nero-grigia ci ricopre una nevosa poltiglia fangosa.
Oppure:
Vstal sem, ko je prva zora dneva zamedlela v okenskih steklih; prestopil sem čez ležeče, speče, sopeče tovariše neke noči- in nemara tudi naslednjih dni.
Mi sono alzato, alle finestre impallidivano le prime luci dell’alba; saltando sui corpi giacenti, silenti o ronfanti dei co-dormienti di una, forse più notti.
L’ultimo capitolo, l’ottavo, il più breve di tutti, si apre su un trionfo di Flora nella Bela Krajina vittoriosa, un paesaggio fiorito, rigenerato dalla primavera, cinguettii di uccelli e infinite variazioni di colori, armonie naturali atemporali evocate con termini desueti, arcaici, in una prosa ritmata e poetica. La visione lirica dello sciogliersi del tempo storico in eterno, liquido, fluire circolare, senza inizio e senza fine, fusione di passato e presente nel ricordo del futuro, si rovescia traducendosi oniricamente nel passaggio lento e uniforme attraverso camere vuote, echeggianti, e disposte a corona circolare in un susseguirsi luminosissimo, solare (giallo cromo, giallo limone, giallo zafferano, giallo verde chartreuse) metafora del principio della circolarità narrativa, del perpetuo ritorno memoriale.
Plasmato con l’ausilio del continuum temporale, che riconduce a unità gli elementi portanti del romanzo, l’andare in cerchio tra gli avvenimenti di un certo momento e i ricordi dell’estensore degli appunti, permette un libero scorrere di motivo in motivo, da descrizioni della natura o di movimentati affannosi, episodi bellici alla meditazione e ai tanti interrogativi sull’individuo e sull’umanità, sulla conoscenza e sull’amore, dal dialogo all’intermezzo lirico, dal ritratto individuale all’intimo esperire della natura, dagli scontri partigiani agli scenari turistici spagnoli.
Si è cercato di non neutralizzare la tensione espressiva dell’autore, di non appiattire a linguaggio standard le costruzioni sintattiche, le espressioni, i termini che l’autore ha voluti tali e non altri.
Tenendo presente che Zupan è un ingegnere, esercitato alla precisione, all’esattezza scientifica, anche per lui come per Gadda, la scrittura è un possibile tramite di conoscenza e disvelamento/smascheramento della realtà: una realtà complessa e non riducibile a razionalità, frammentata, caotica e esprimibile in un linguaggio frammentato, al quale lo scrittore imprime un proprio sigillo “tecnico”: una controllata mescidanza di registri espressivi e linguistici.
Ripercorrendo a posteriori gli itinerari di riscrittura, emerge che a poco a poco, tra rinunce e riesami, in una “lenta circumnavigazione della parola dell’autore”, eliminate o scartavetrate le iniziali versioni chiarificanti, esplicative e banalizzanti — in armonia con un editing d’eccezione, aperto e curioso, appropriato sempre, rispettoso dei rimandi interni del testo, delle sue logiche, dei meccanismi profondi, della sua struttura nascosta e delle (argomentate) ragioni del traduttore — la conclusione è stata (come forse è auspicabile che sia, nella maggior parte dei casi?) un costante riavvicinamento al testo fonte, liberato – in una progressiva conquista – dalle trappole di interpretazioni ingegnose.
Alla fine, la traduzione più ovvia, la più aderente al testo, si è rivelata quella preferibile.