Nel 1969, quando decide di cimentarsi per la prima volta con il crime novel, Elmore Leonard non è più un ragazzino (ha quarantaquattro anni, nato com'è a New Orleans nel 1925) ma, soprattutto, non è ancora uno scrittore professionista, anche se ha dalla sua una ormai lunga esperienza nel campo della narrativa western, genere che lo aveva fatto diventare, dal suo esordio sulla rivista Argosy nel 1951, un autore di una certa popolarità, i cui testi avevano già suscitato qualche interesse nella gente del cinema. Ma i giorni del western erano ormai contati, e Leonard - da buon pubblicitario; il suo lavoro "ufficiale" era all'epoca, e lo sarebbe rimasto per parecchi anni ancora, quello di copywriter - aveva già fiutato i mutamenti del gusto dei lettori di narrativa di genere. D'altra parte, è proprio il cinema che consente a Leonard di saltare il fosso: più precisamente, i diecimila dollari ricavati dalla vendita del suo romanzo western Hombre alla casa di produzione 20th Century Fox (che ne trarrà un film con Paul Newman), e che gli consentono di dedicarsi con meno preoccupazioni economiche alla stesura di quello che diventerà il suo primo noir, The Big Bounce.
Il romanzo vanta alcuni singolari primati, dei quali proprio Leonard parla oggi con un certo umorismo, ma che devono averlo quanto meno sorpreso. È stato rifiutato ben ottantaquattro volte, tra case editrici e case di produzione cinematografica, e - una volta pubblicato - ha dato origine a due di quelli che lo stesso Leonard definisce tra i più brutti film della storia del cinema. "Mi trovavo a New York il giorno dell'uscita del film," racconta Leonard a proposito della versione cinematografica del 1969, con Ryan O'Neal e Leigh Taylor-Young, "e mi sono infilato in un cinema sulla Terza Avenue un quarto d'ora dopo l'inizio della proiezione. Venti minuti più tardi, la donna che era seduta davanti a me ha detto all'uomo che era con lei: "Questo è il più brutto film che ho visto in vita mia." Ci siamo alzati tutti e tre e ce ne siamo andati."
Questo aneddoto, peraltro, non fa che confermare la sostanziale difficoltà di tradurre in immagini quelle che il critico Barry Taylor chiama, in un suo saggio, le "strategie e le tattiche" di Leonard, qui per certi versi ancora in fase embrionale, ma per altri già poste in opera; gli stessi problemi che per anni hanno afflitto, e in molti casi continuano ad affliggere, i poveri traduttori che si cimentano nell'ardua impresa di rendere in italiano le acrobazie stilistiche e linguistiche del Nostro, cercando di banalizzarlo, di normalizzarlo il meno possibile. Leonard, difatti, ha ormai una lunga storia con l'editoria italiana, che lo ha pubblicato con una certa regolarità (anche se diversi romanzi restano tuttora inediti nel nostro paese) senza però prestare soverchia attenzione alla qualità delle traduzioni (si veda, per fare un solo esempio, l'inadeguata versione italiana di quel piccolo capolavoro che è Unknown Man n. 89, del quale si spera di poter presto fornire un'edizione più soddisfacente).
Solo negli ultimi anni, e precisamente col passaggio di Leonard alla Einaudi, si è cominciato a capire che era necessario rimettere le cose a posto, e le recenti uscite di Tishomingo Blues (tradotto da Wu Ming 1) e del qui presente The Big Bounce (a cura del sottoscritto) segnano, nelle intenzioni della casa editrice e, in particolare, dei traduttori stessi, l'inizio di un nuovo approccio con l'insidiosa e sfuggevole materia leonardiana. Ci stiamo riuscendo? A giudicare dall'entusiasmo che il vecchio Elmore ha ripreso a suscitare tra i suoi vecchi appassionati, e dal gran numero di nuovi lettori che ha iniziato a conquistare, la tentazione di dare una risposta affermativa è davvero forte. Certo, leggere Elmore Leonard in lingua originale è ancora uno dei piccoli (grandi?) piaceri della vita, ma il divario si sta restringendo a grandi passi, e ormai comincia a esserci una piccola (grande?) soddisfazione a gustarselo anche in italiano. Stay tuned...