Autore:
Zeina Abirached / editore: Bao Publishing, 2017
Pubblicazione:
29 dicembre 2017
Ho affrontato la traduzione del libro di Zeina Abirached dopo essermi occupato di un altro graphic novel pianistico, quello di Sandrine Revel dedicato a Glenn Gould, il più grande esecutore bachiano del XX secolo, le cui incisioni delle Variazioni Goldberg restano un punto di riferimento per tutti i pianisti.
Non ricordo esattamente come ho incontrato Il piano orientale, ma ne sono stato conquistato a partire dall'esergo:
Chi sono io? È una domanda che lascio agli altri.
Io sono la mia lingua
La frase del poeta palestinese Mahmoud Darwish è una vera dichiarazione di intenti: la questione della lingua e, ancora di più, del suono della lingua, attraversa tutta la narrazione, ricca di onomatopee, a tutti gli effetti personaggi del volume che racconta le due storie parallele di Zeina Abirached e Abdallah Kamanja (personaggio liberamente ispirato al bisnonno dell'autrice, Abdallah Chahine).
La vicenda biografica costituisce un magnifico pretesto per sollecitare una riflessione sull'alterità, sulla condizione di straniero, nel senso più ampio del termine. L'autrice infatti scrive in francese, ma è di origine libanese. Tale dualismo non è una semplice voce sul documento di identità, è un modo di essere, sempre in bilico tra un mondo e l'altro, tra una lingua e l'altra. Le pagine dedicate alla sua vicenda personale sono incentrate principalmente sulla questione della lingua, sul rapporto tra l'arabo e il francese. “Ci sono due scatole di mikado rovesciate alla rinfusa nella mia testa”.
Questa immagine, rappresentata magistralmente a tutta pagina, rende evidente lo stato di confusione e al contempo la necessità di precisione necessaria per passare da una lingua all'altra, da un mondo all'altro.
Arrivata in Francia, Zeina dovrà separare le due scatole di mikado e togliere delicatamente ogni bastoncino senza distruggere tutto.
Le differenze tra la lingua francese e quella araba sono immense e l'autrice condivide con il lettore le difficoltà e le strategie utilizzate per fare propria la nuova lingua.
La sfida della traduzione italiana era ovviamente tutta qui: rendere in modo comprensibile e fedele il continuo passaggio tra due lingue. Fortunatamente il francese, pur con evidenti differenze, non è così distante dall'italiano e ciò ha permesso, nella maggioranza dei casi, di realizzare la versione italiana senza particolari adattamenti.
Zeina Abirached ha il dono di trattare le parole come immagini, trasformandole in onomatopee che occupano le pagine in modo costante e che riescono a far suonare il piano orientale. Come è noto, non tutte le cose suonano nello stesso modo nelle varie lingue: è il caso del cinguettio degli uccelli che in Italia fanno cip, ma in Francia cui o coin. In generale si è deciso di lasciare suonare questo libro con il suo suono, non solo per ragioni grafiche (le onomatopee fanno spesso parte integrante del disegno e sarebbe stato complicato sostituirle) ma per sentire - a titolo di esempio - lo scricchiolio originale delle scarpe (italiane) di Abdallah che riempiono di ritmo intere pagine del volume. Così come il suono prodotto dal suo tarbouche – il tipico copricapo libanese (che in italiano è diventato un fez dopo lunghi ripensamenti), quel poc che in italiano sarebbe diventato naturalmente toc, ma che in tal modo avrebbe perso l'attacco così rotondo e sonoro dato dalla p. Non è una mera questione tecnica, tutt'altro: si tratta di un gioco da bambini, restituire alle cose il loro vero suono e il suo cappello, ops, il suo tarbouche, suona proprio così: poc!
Si sa, i popoli mediterranei sono loquaci e così pure i personaggi de Il piano orientale: i dialoghi sono fittissimi e estremamente naturali e si intersecano alla narrazione con un ritmo che diventa forma e sostanza, che sostiene e chiarisce i contenuti delle battute e delle riflessioni.
Anche in questo caso ho cercato di rispettare quanto più possibile quel ritmo che mi sembra la cifra caratteristica di questo fumetto, mantenendo la struttura della frase e la sua catena sonora, come se si trattasse di tradurre il testo di una canzone da inserire nella stessa melodia.
Ecco, il piano orientale, questo incredibile strumento capace di fare incontrare due mondi così diversi come quello della musica occidentale (che si basa sulla scala diatonica) e la musica orientale (che utilizza i quarti di tono) ora sa suonare anche in italiano.