L’Arabo del Futuro è il graphic novel autobiografico di Riad Sattouf, fumettista satirico molto apprezzato in Francia. L’opera è una trilogia e in questo primo tomo – sottotitolato Una giovinezza in Medio Oriente 1978-1984 – racconta i primi sei anni di vita del piccolo Riad nella Libia di Gheddafi e nella Siria di Assad.
È Riad a parlare in prima persona e a raccontarci che nel 1980 ha due anni ed è un bambino perfetto: capelli biondi e fluenti, boccuccia di rosa, amato da tutti, parenti e sconosciuti di passaggio che non riescono a resistere al suo fascino. Cresce pensando che la vita sarà sempre così: un posto fantastico affollato da adulti adoranti che faranno a gara per prenderlo in braccio e coccolarlo.
È figlio unico e anche i suoi genitori lo adorano: Cleméntine, la mamma, è francese e Abdel Razak, il papà, è siriano, di un paesino nei dintorni di Homs. Si incontrano alla Sorbonne, Abdel Razak è dottorando in Storia, ammiratore entusiasta dei grandi dittatori arabi, esempi per lui di modernità e di forza virile, e strenuo sostenitore del Panarabismo. È ossessionato dall’idea che l’istruzione sia per gli arabi l’unica via di uscita dall’oscurantismo religioso. Per questa ragione, dopo il dottorato, decide di accettare un incarico come insegnante in Libia dove si trasferisce con la famiglia e dove Riad, troppo piccolo per andare a scuola, trascorre le giornate in casa con la mamma o sul pianerottolo, teatro di giochi e delle prime occasioni di confronto con il nuovo sistema culturale in cui è stato calato suo malgrado. Dopo una breve parentesi in Francia, la famiglia si mette di nuovo in viaggio, questa volta per raggiungere la Siria, esattamente il villaggio nei pressi di Homs dove Abdel Razak è nato – e dove ritroverà la sua famiglia – nonché l’epicentro della rivolta che inizierà nel 2011. Qui in Siria il piccolo Riad è destinato, nelle intenzioni di suo padre, a diventare un arabo moderno e istruito: l’arabo del futuro, appunto.
Attraverso gli occhi di un bambino, che registra come “normali” cose che per un adulto sono ben più difficili da comprendere, il lettore è testimone diretto delle contraddizioni che caratterizzano i sistemi politici e sociali complessi e controversi fotografati attraverso la ricostruzione dei ricordi di Riad, senza essere costretto a subire una posizione imposta. Il narratore non esprime mai un giudizio etico o morale sulla realtà. Sattouf non giudica, così come il suo alter ego, il piccolo Riad: è il lettore che è chiamato a farsi la propria idea attraverso la descrizione pura e semplice dei fatti.
A questo proposito, in un’intervista a “Télérama”, Sattouf dichiara: «Mi piacciono tutti i tipi di disegni a fumetti, da quelli di Hergé o Corben, a Chris Ware, a Blutch o Rosinski... Quello che mi piace di tutti questi artisti è la loro capacità di trasmettere “la visione” senza spavalderia. Non so come altro definire questo modo di comunicare direttamente attraverso il disegno, la luce, la grafica, il ritmo della narrazione... Leggendoli, improvvisamente, si arriva a un “capisco esattamente cosa intende dire”. L’autore ha visto e sentito, e trasmesso. Questo è ciò che pazientemente cerco di realizzare con il mio lavoro: fare della lettura un’esperienza umana! Be’, so che è un po' pretenzioso, ma vale la pena provare!»
L’opera di Sattouf è permeata inoltre di un’ironia cordiale, ma fortemente espressiva che domina il ritmo della narrazione e l'equilibrio tra testo e immagine.
È stata proprio questa la chiave di volta che ha guidato l’approccio alla traduzione dell’Arabo del futuro: la restituzione di fatti e di ricordi attraverso il linguaggio naturale e descrittivo di Riad in tono ironico e a tratti spietato nella sua lucida trasposizione della realtà.
L’arabo del futuro si è aggiudicato il premio come migliore opera al festival di Angoulême nel 2015.
Sincera testimonianza sull’importanza dell’integrazione, dello scambio e della tolleranza, questo graphic novel va a inserirsi di diritto nella scia delle grandi opere politiche e autobiografiche del calibro di Maus di Art Spiegelman e Persepolis di Marjane Satrapi.