“C’era una volta una bambina, una piccola violinista, che quando si teneva una mano sugli occhi e ci guardava attraverso, vedeva qualcosa di particolare, non sempre, ma spesso.” Inizia così La piccola violinista di Jon Fosse, un albo del 2009 splendidamente illustrato da Øyvind Torseter e appena pubblicato in italiano per i tipi di Iperborea. È la storia di una bambina con doti divinatorie che un giorno vede il padre triste e solo su uno scoglio in riva al mare e si mette in viaggio per raggiungerlo, superando varie traversie grazie alla musica del suo violino.
La piccola violinista è un inno al potere salvifico dell’arte e dell’amore, una storia che riscalda, conforta e avvolge chi legge nella musica del testo. Si può intendere che sia una fiaba, come mostrano vari indizi, dall’incipit C’era una volta… al viaggio della protagonista, dall’elemento magico delle doti divinatorie allo schema tripartito delle prove da superare. Il punto di vista è quello della bambina, che salva il padre grazie alla sua musica, all’arte, ma in fondo salva anche sé stessa. È interessante il ribaltamento dei ruoli figlia-genitore, dove è la bambina a prendersi cura dell’adulto e non viceversa. Nulla sappiamo delle informazioni di contorno: non sappiamo se ci sia una madre né perché il padre si trovi triste e solo in un posto sperduto, ma non importa conoscere questi dettagli. La storia lascia spazio per immaginare e interpretare. Anche la traduzione dunque deve resistere alla tentazione di spiegare troppo (ad esempio tramite la scelta lessicale), ma deve piuttosto mantenere il giusto grado di stupore e mistero.
Nel corso degli anni l’autore norvegese ha scritto vari libri per l’infanzia che adesso, con il Nobel, sono oggetto di rinnovato interesse nazionale e internazionale. La piccola violinista è il primo di quattro titoli previsti nella collana dei Miniborei, e i diritti di traduzione di questi libri sono stati acquisiti anche in Francia, Slovacchia, Spagna, Polonia e Brasile.
Sulla letteratura per bambini scritta da Jon Fosse, l’Istituto norvegese sulla letteratura per l’infanzia, in collaborazione con la Biblioteca nazionale norvegese, ha organizzato una giornata di convegno dal titolo “Piccoli lettori, grandi mondi” (ma anche “grande valore”) e tra gli argomenti all’ordine del giorno, anche come questo ramo della letteratura viene letta in Norvegia, come viene letta all’estero, come viene illustrata e rappresentata sul palco.
Nel tradurre le opere per l’infanzia di Jon Fosse, non si può prescindere dalla sua posizione sul tema. Da tempo infatti l’autore ha messo in discussione il concetto stesso di «letteratura per l’infanzia» (barnelitteratur), contrapponendolo a quello di «letteratura per tutte le età» (allalderlitteratur). Pur non essendo stato il primo a utilizzare tale termine, Fosse è senz’altro tra coloro che hanno proposto il concetto di allalderlitteratur in maniera più significativa nel dibattito critico norvegese alla fine degli anni Novanta. Secondo Fosse si può adattare un testo al pubblico dei bambini tramite la scelta dell’argomento, ma non bisogna mai abbassarne il livello stilistico, perché è fondamentale preservare la qualità letteraria dell’opera e l’esperienza estetica di chi legge. A differenza della letteratura per l’infanzia, dunque, che è scritta esplicitamente ed esclusivamente per i bambini, la letteratura per tutte le età è scritta anche per i bambini.
I «libri per tutte le età» di Fosse, in effetti, trattano argomenti più leggeri rispetto alla produzione per gli adulti, ma mantengono il tipico stile dell’autore, con il suo fluire musicale di parole fatto di ripetizioni, di espressioni quasi formulari, di punteggiatura essenziale. La traduzione ovviamente deve tenere conto di questo stile particolare e cercare di renderlo leggibile e comprensibile senza snaturarlo né normalizzarlo.
Tradurre un autore così rilevante è un compito di grande responsabilità a cui mi sono accostata con rispetto, specie perché l’incarico mi è arrivato dopo il conferimento del Premio Nobel. Ciononostante o forse a maggior ragione, non bisogna perdere di vista quel grado di libertà creativa che è l’ingrediente fondamentale di ogni buona traduzione. La scrittura di Fosse è musicale, fluida, apparentemente semplice e a tratti minimalista, ricca di ripetizioni, povera di punteggiatura. È una lingua che ti resta dentro e non si inceppa mai, che scorre come il pensiero e come il pensiero a volte si attorciglia, ma poi ritrova la sua strada. Renderle giustizia in italiano non significa replicarla parola per parola, ma smontarla e rimontarla cercando di trovare il giusto equilibrio. Significa tentare di ricreare quel ritmo che non si inceppa, senza perdere l’attenzione del lettore. Decidere quali ripetizioni mantenere e quali no, quali virgole togliere, aggiungere o spostare, quali connettivi usare e dove usarli, per accompagnare il lettore nel flusso. Riprodurre non solo il senso convogliato dalle parole, ma anche quello che si cela dietro le pause. Rileggere mille volte ad alta voce, modificando le frasi anche solo di un millimetro, per attorcigliarle senza annodarle. Farsi guidare dalla musica, come la piccola violinista.