Autore:
Per Olov Enquist
Pubblicazione:
7 ottobre 2004
Ci sono libri che un traduttore teme di affrontare, vuoi per difficoltà stilistiche, vuoi per il tema, vuoi per lontananza culturale. Sicuramente per me Il viaggio di Lewi è stato uno di questi. Un primo fattore di timidezza è stata la mole: 600 pagine giuste giuste nell'edizione originale. Poi lo stile particolare. Avevo già letto altri libri di Enquist, anche se era il primo che traducevo, e avevo avuto modo di apprezzare la sua prosa, che per quanto affascinante alla lettura intuivo ostica alla traduzione. Infine il tema: Il viaggio di Lewi racconta il viaggio attraverso il Novecento di Lewi Petrus, fondatore della chiesa pentecostale svedese. Inutile dire che nella cattolicissima Italia gli studi sulle sette protestanti sono decisamente rari, e quindi risulta piuttosto difficile crearsi una base terminologica e un quadro d'insieme in cui inserire gli avvenimenti del libro.
Ma per fortuna sull'altro piatto della bilancia c'erano le attrattive del libro, che a mano a mano che il lavoro proseguiva hanno decisamente preso il sopravvento.
Come traduttore, la prima cosa che mi fa innamorare di un libro in genere è il linguaggio in cui è scritto. Forse perché in una prima fase del lavoro la lente di ingrandimento della traduzione tende a farmi perdere di vista l'insieme, il contenuto, per farmi concentrare sul dettaglio, un'espressione inusuale, una metafora riuscita. E lo stile di Enquist è perfetto per conquistare a poco a poco anche il lettore più esigente: uno stile scarno, asciutto, ma illuminato da improvvise impennate, a volte poetiche, a volte di un'ironia tagliente; un linguaggio apparentemente semplice ma che nasconde difficoltà impreviste, un improvviso salto di registro, la sorpresa di un termine usato fuori contesto. Anche la personalissima tecnica narrativa di Enquist è affascinante: come un collage, disseziona e ricompone gli eventi per "ricostruire" da un nuovo punto di vista situazioni e personaggi. Il viaggio di Lewi è suddiviso in sezioni cronologiche, ma in realtà il libro è un continuo gioco di piani temporali, con eventi che vengono preannunciati o accennati più volte, o che ritornano in seguito, attraverso brevissimi accenni, poche parole chiave, quasi leitmotive manniani. L'impressione finale è quella di un complesso mosaico di tessere che ritornano e si scambiano posto, un immagine che bisogna guardare a lungo e senza preconcetti per permettere alle macchie di colore di assumere una forma intelligibile.
E poi, come era già successo con Il medico di corte, anche con Il viaggio di Lewi Enquist rivela una pagina pressoché sconosciuta, eppure fondamentale, della storia scandinava: la storia del movimento pentecostale svedese, il più grande movimento di risveglio religioso del Novecento, attraverso l'incontro e lo scontro del suo fondatore, il carismatico Lewi Pethrus, con l'ex-poeta erotico Sven Lidman, poi predicatore e numero due del movimento. E il pentecostalismo è un elemento fondamentale per capire la Svezia del Novecento, sospesa tra modernità e oscurantismo, tra laicità ed estasi, tra illuminismo e irrazionalismo. Ma come negli altri suoi libri la storia, pur essendo in primo piano, non è mai arida ricostruzione ma il contesto in cui si muovono personaggi assolutamente vivi, nudi e dissezionati nei loro sentimenti più intimi.
Insomma, nonostante i timori iniziali e le difficoltà non indifferenti incontrate in corso d'opera, tradurre Enquist resta un'esperienza emozionante e formativa.4