La traduzione di un testo medievale comporta una serie di riflessioni preliminari che riguardano alcune importanti specificità relative alle dinamiche della produzione e trasmissione del testo stesso. La rilevanza della discussione di tali specificità risiede in primo luogo nel fatto che esse costituiscono un complesso di questioni con cui il traduttore deve necessariamente misurarsi nella fase precedente il vero e proprio lavoro di traduzione e di cui è bene che il lettore sia consapevole per una comprensione adeguata delle peculiarità dell’operazione proposta(1).
Innanzitutto, i concetti di “autore” ed “originale”, con cui siamo soliti analizzare e classificare i documenti letterari dell’epoca moderna e contemporanea, vanno applicati con estrema cautela nell’indagine della cultura medievale. Com’è noto, infatti, sono tutt’altro che rari, nel Medioevo europeo, i casi di opere anonime di cui non possediamo l’originale, ma che conosciamo solo attraverso copie più tarde rispetto al periodo della loro probabile composizione. Lo stesso concetto di copia, del resto, non deve indurre a credere che le riproduzioni di un testo fossero ispirate ad un principio di fedeltà assoluta: al contrario, in una cultura manoscritta come quella dei secoli dell’Età di Mezzo, il meccanismo della copiatura – soprattutto se si trattava di testi anonimi – dava spesso vita a versioni e redazioni diverse tra loro, frammentando l’opera stessa in una serie di immagini distinte. Il testo medievale è, in sostanza, un’entità generalmente instabile, esposta a continue modificazioni: la mouvance del testo è espressione visibile dell’intrinseca dinamicità della cultura letteraria del Medioevo europeo(2).
La Gautreks saga antico islandese rappresenta, per molti versi, un esempio emblematico delle caratteristiche brevemente esposte fin qui. Si tratta, infatti, di un testo anonimo, che ci è stato tramandato in due redazioni diverse, una più lunga, l’altra più breve e forse più antica: di nessuna delle due possediamo l’originale, ma solamente testimoni risalenti ad epoche più tarde. La differenza principale fra queste due redazioni consiste nel fatto che quella più lunga contiene un intero racconto (il Víkars þáttr) che è del tutto assente, invece, in quella breve. Dal punto di vista del traduttore, è chiaro che la presenza di due redazioni impone una scelta preliminare. La mia decisione di tradurre la redazione lunga sulla base del testo stabilito da W. Ranisch nella sua edizione critica(3) comporta un’ulteriore riflessione. Come ogni edizione critica, quella di Ranisch è un’ipotesi di lavoro, volta a restituire, sulla base dei testimoni pervenutici, un testo che sia il più vicino possibile all’originale. Ciò che in questo modo viene prodotto è, in buona sostanza, un testo artificiale, risultato di uno sforzo di ricostruzione che, sebbene sia condotto attraverso l’impiego di tecniche ecdotiche rigorose, è necessariamente contraddistinto da una serie di scelte soggettive. Ora, considerando che anche la traduzione di ogni testo, come osserva J. Levý(4), è un continuo processo decisionale, risulta chiaro che ciò che il lettore legge in traduzione è il frutto di un lungo procedimento di scelte successive e stratificate, prima editoriali – ossia quelle dell’autore dell’edizione critica – poi traduttive, oltre che del tentativo di fissare in un’unica “immagine” testuale ciò che, invece, la tradizione manoscritta ci ha consegnato in forme eterogenee(5).
Le scelte del traduttore sono determinate in buona parte dal progetto sotteso alla traduzione, oltre che dalle norme che regolano il funzionamento della cultura d’arrivo(6). L’obiettivo della traduzione di un documento letterario medievale è quello di portare a conoscenza del lettore contemporaneo un testo caratterizzato da una notevole distanza storica – e culturale, come nel caso della Gautreks saga – rispetto al contesto di ricezione (l’età contemporanea, appunto). Diverse possono essere, a questo proposito, le strategie adottabili. Il principio a cui la traduzione da me proposta si è ispirata è quello della conservazione dell’alterità del testo di partenza attraverso la riproposizione, nel prodotto finale, di alcuni segnali che rendessero sufficientemente esplicita la sua appartenenza ad una dimensione culturale ‘altra’. Ho così scelto, ad esempio, di mantenere l’oscillazione nell’uso dei pronomi personali “tu/voi” (an. þú/þér) nei discorsi diretti rivolti al re o a figure nobiliari, creando in questo modo un effetto di straniamento funzionale allo scopo descritto. Tuttavia, per favorire una migliore leggibilità del testo, si sono resi necessari alcuni interventi di adeguamento. In particolare, ho ritenuto opportuno ridurre le numerose ripetizioni presenti nel testo islandese attraverso interventi di sostituzione diversi (uso di forme pronominali, perifrasi). Dal punto di vista sintattico, inoltre, pur dovendo modificare – soprattutto in alcuni punti – la struttura del periodo per tentare di mantenere l’andamento ritmico della prosa, ho cercato di riproporre, nei limiti del possibile, la paratassi della saga, facendo altresì abbondante uso dei segni di interpunzione in modo da creare un’alternanza tra pause brevi e lunghe.
Inoltre, ho deciso di affidare alla postfazione e ad un apparato di note esplicative – seguendo una tradizione ormai consolidata all’interno della sezione di traduzioni dall’antico islandese della casa editrice Iperborea – l’illustrazione delle caratteristiche del contesto letterario e, più in generale, culturale da cui la saga scaturisce e a cui essa fa riferimento. La ricostruzione di tale contesto – di per sé piuttosto problematica, in quanto tentata attraverso una visione retrospettiva limitata dall’impossibilità di un’interrogazione diretta del passato, di cui ricomponiamo un’immagine tutt’altro che completa ed omogenea attraverso le sole testimonianze pervenuteci – è necessaria in primo luogo al traduttore per un’adeguata comprensione del testo e una corretta decifrazione dei riferimenti culturali in esso presenti e, in secondo luogo, al lettore per dare coerenza al testo stesso.
Un ulteriore oggetto di riflessione è rappresentato dalla resa delle numerose sezioni poetiche della saga. Data la sostanziale diversità tra la metrica norrena – e, più in generale, della tradizione germanica medievale – e quella italiana, ho rinunciato ad una riproduzione fedele dello schema accentuativo del testo islandese, cercando però di riproporne allusivamente, attraverso l’uso di costruzioni sintattiche marcate, la struttura ritmica, dando vita, in sostanza, ad una traduzione alineare dei versi.
In conclusione, credo che il prodotto finale del lavoro di traduzione della Gautreks saga – come della traduzione di qualsiasi testo medievale – vada letto ed interpretato sulla base delle specificità che fin qui ho cercato brevemente di delineare, ossia come risultato – certamente perfettibile – di un delicato e complesso processo di mediazione interculturale che ha come obiettivo precipuo quello di rendere accessibile ad un pubblico contemporaneo un testo significativo del Medioevo islandese nel pieno rispetto delle sue peculiarità e della sua alterità culturale e storica.
(1) Un'ampia ed approfondita discussione dei principali nodi problematici - a livello teorico e pratico - legati alla traduzione del testo medievale è contenuta in M.G. Cammarota / M.V. Molinari (a cura di), Testo medievale e traduzione, Bergamo 2001 e M.G. Cammarota / M.V. Molinari (a cura di), Tradurre testi medievali: obiettivi, pubblico, strategie, Bergamo 2002. Si tratta degli atti di due convegni tenutisi a Bergamo nell'ottobre 2000 e nell'ottobre 2001 e promossi da un gruppo di ricerca nazionale composto da membri appartenenti a diversi Atenei italiani (Bergamo, Ferrara, Pavia, Trento, Venezia). Nel primo volume si vedano, in particolare, gli interventi di Garzone, Ferrari e Buzzoni; nel secondo volume, si consiglia la lettura dei contributi di Molinari, Brunetti e Buzzoni.
(2) Sul concetto di mouvance si veda P. Zumthor, La lettre et la voix. De la "littérature" médiévale, Paris 1987 [trad. it. La lettera e la voce. Sulla "letteratura" medievale, Bologna 1990].
(3) W. Ranisch, Die Gautrekssaga in zwei Fassungen, Berlin 1900.
(4) J. Levý, "Translation as a Decision Process", in To Honor Roman Jakobson: Essays on the Occasion of his Seventieth Birthday, 11 October 1966, The Hague/Paris 1967, vol. II, pp. 1171-1182 [trad. it. La traduzione come processo decisionale, in S. Nergaard (a cura di), Teorie contemporanee della traduzione, Milano 1995, pp. 63-83].
(5) Se poi il traduttore è anche filologo - e credo che, soprattutto nella traduzione di testi medievali, ciò sia non solo auspicabile, ma sostanzialmente inevitabile - egli può intervenire sulle scelte proposte dall'autore dell'edizione critica attraverso proposte di emendazione del testo ricostruito su cui basare, in seguito, la traduzione.
(6) Sulla questione dell'influenza della target culture nella definizione delle caratteristiche della traduzione - intesa sia come processo, sia come prodotto - si vedano, in particolare, gli studi degli esponenti della cosiddetta scuola di Tel Aviv (Itamar Even Zohar e Gideon Toury), che per molti versi ha fornito un contributo teorico importante allo sviluppo dei Translation Studies. Una sintetica, ma puntuale presentazione delle teorie di Even Zohar e Toury è contenuta in E. Gentzler, Teorie della traduzione. Tendenze contemporanee, Torino 1998, pp. 119-123, 129-149.