Tommi Kinnunen è un autore simbolo del panorama letterario contemporaneo della Finlandia, paese nel quale di rado si tende a parlare di best seller come in questo caso. La storia di Maria, Lahja, Kaarina e Onni ha fatto letteralmente il giro del mondo, incontrando l’interesse di case editrici e lettori in oltre venti paesi. Ho letto per la prima volta questo romanzo alla sua pubblicazione nel 2014, ed è stato quel che si può definire un colpo di fulmine.
Convinta del suo valore letterario e affascinata dalla sua storia senza tempo ho cercato un editore disposto a pubblicarlo in italiano. La costanza è stata premiata.
Tradurre un romanzo già pubblicato in molte altre lingue pone chi traduce a un crocevia di scelte ancora più complesse, perché c’è una sorta di tradizione con cui confrontarsi, da cui distaccarsi, verso cui orientarsi. Lo spirito che ha animato il mio lavoro è stato tendere verso una traduzione che sapesse trovare nella distanza un punto d’incontro: al servizio della storia, del suo ambiente d’origine e dei suoi protagonisti, capace tuttavia di porgersi al lettore, d’incontrarlo.
All’incrocio delle quattro strade è anche la storia di un luogo: delle Lande selvagge del Nord, puntellate di laghi, dove le diligenze e i postali si destreggiano su e giù per le colline tunturi, e il buio o la neve alta sono ostacoli non trascurabili. Una terra di confine come questa, dove alla lingua finlandese si mescola quella svedese e dove le tradizioni culinarie sono parte integrante di un’identità, stimola la ricerca di strategie di traduzione più sofisticate. Da ciò la scelta di lasciare – per quanto è possibile – intatte sulla pagina quelle parole capaci di raccontare la terra da cui provengono.
In un romanzo dove i personaggi sono spesso fermi a un incrocio, su una soglia o impantanati in una posizione scomoda, raccontare una storia ha decisamente la meglio sull’esercizio di stile, la frase scorre spedita all’insegna dell’armonia, soffermandosi sui particolari con incisività quasi documentaristica. Una colloquialità che si è ricercata anche nella traduzione, che riporta nella sintassi italiana le intenzioni del periodare dell’autore.
La curatrice di questa collana, che qui ringrazio per lo splendido lavoro insieme, leggendo il libro ha notato qualcosa che ha colpito anche me prima nella lettura, poi nella traduzione: l’incessante uso delle proposizioni coordinate avversative. Tanti ma che servono a creare un racconto che è come la vita che prima pone, poi giustappone, e alla fine ripropone.