Da parecchi anni sperimento, presso il dipartimento di lingue della Fondazione Scuole Civiche di Milano, l’insegnamento della traduzione come atelier. Nel quadrimestre febbraio-maggio 2011 con quattro studentesse del master di traduzione (Jennifer Perletti, Chiara Mareli,Valentina Sironi, Martina Gorni) abbiamo “adottato”, grazie anche alla disponibilità dell’editore Keller, il libro di Sudabeh Mohafez Wüstenhimmel Sternenland.
La raccolta di racconti si adattava particolarmente al nostro scopo, non solo perché i racconti stessi sono un genere che si può facilmente suddividere tra più persone in quanto ogni racconto è un’unità finita, ma anche per la lingua della scrittrice iraniano-tedesca che, se è molto semplice da un punto di vista lessicale e sintattico, non lo è sul piano semantico per il peso che conferisce all’espressività del discorso (nei racconti brevi tutto ruota intorno a un dettaglio che, grazie alla ripetizione e alla variazione sul tema, e della paratassi, viene fatto “esplodere”). Abbiamo dunque scoperto insieme, con le studentesse del master, nel corso della traduzione del primo (il secondo dell’edizione italiana) e del secondo (terzo) racconto, avvenuta in classe, il modo in cui, nella scrittura di Sudabeh Mohafez che sta a cavallo tra due lingue, due culture e due continenti, si combinano un sentire onirico, da “mille e una notte”, con una lingua, quella tedesca, che per molti versi “imbriglia” il pensiero ma per altri consente di mantenere quell’indeterminatezza, quello stare sui traumi, su pesanti segreti, con la spietata vaghezza del sogno, che è la cifra di Sudabeh Mohafez in questo libro. Una vaghezza che l’italiano però a volte rifiuta: addirittura eclatante l’esempio del penultimo racconto L’ultima prospettiva valida in cui non è chiaro, in tedesco, se il protagonista sia uomo o donna. L’ambiguità, favorita dall’uso tedesco dei pronomi, non si può però conservare in italiano dove siamo state costrette (consenziente l’autrice, suo malgrado) a rivelare fin dalle prime righe l’identità del protagonista.
Riconoscere e imparare a rispettare la realtà vaga e sfumata dei racconti di Sudabeh Mohafez e trovare una misura congrua che potesse restituire in italiano la lievità dell’autrice, è stato dunque il lavoro preliminare, compiuto in classe. A ciascuna delle studentesse è stato poi affidato un racconto da tradurre durante l’estate. Ognuna ha così avuto modo di lavorare a casa sul proprio racconto, ottenendo poi un riscontro fin dalla fine di agosto, quando sono iniziate le revisioni e le riletture reciproche tese a uniformare il lessico e soprattutto il tono del libro. Abbiamo avuto ancora la possibilità, all’inizio del nuovo anno accademico, di rivedere insieme le bozze finali e di fare un riscontro sul glossario delle parole in persiano usate da Sudabeh Mohafez soprattutto in quello che nell’edizione italiana è diventato il primo racconto, e che si svolge a Teheran.